Il cinema è un’invenzione senza avvenire?

“Il cinema è un’invenzione senza avvenire”. Le parole lapidarie attribuite ad Antoine Lumière, padre dei celebri fratelli Louis e Auguste, furono certamente poco ottimiste rispetto alle sorti del neonato cinematografo, e hanno finito con gli anni per essere spesso citate con ironia come lampante esempio di previsione poco accurata. Oggi, a più di centovent’anni dalla prima proiezione cinematografica, e mentre le sale vengono prese d’assalto per l’ultimo blockbuster, sembra chiaro che la forma d’arte e di intrattenimento introdotta dai Lumière abbia riscosso per oltre un secolo un successo innegabile. Una domanda più pertinente, dunque, in questi giorni di anniversari, è forse: il cinema sta diventando un’invenzione senza avvenire?

Il Novecento ha infatti visto un’affermazione positiva del cinema su due diversi binari: da un lato nella forma del film, vale a dire dei contenuti; vi è poi il cinema inteso come tecnologia, come cinematografo in senso stretto, che pur evolvendosi e modificandosi nel corso degli anni – dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore, dal 4:3 al Cinemascope, dall’analogico al digitale – ha sostanzialmente mantenuto per un intero secolo una forma molto riconoscibile nella fruizione in sala. In questo secondo senso, lo scarso avvenire del cinema in favore di altre forme domestiche di fruizione è stato tirato in ballo senza ironia in più di un’occasione durante il Novecento, che ha visto ripetute “morti annunciate” della sala senza che queste si siano effettivamente verificate. È noto per esempio che la prima brusca frenata del mezzo cinematografico ebbe luogo con l’avvento e la diffusione su larga scala dell’apparecchio televisivo, negli anni ‘50, quando in breve tempo le famiglie cominciarono a preferire l’intrattenimento domestico alla pratica sociale del cinema, relegandolo a occasione “festiva”.

Negli anni ‘70 e ‘80, poi, una nuova rivoluzione nella fruizione dell’oggetto filmico doveva avere luogo: quella che, attraverso la tecnologia del VHS, rese il film un oggetto privato, commerciabile per uso personale, acquistabile una volta e poi a propria disposizione per infinite visioni successive, come il vinile aveva fatto per la musica decenni prima. Come ricorda uno studio di Barbara Klinger, a partire dagli anni ‘80 gli spettatori americani hanno guardato più film in casa che al cinema, e lo stesso sorpasso è avvenuto per quanto riguarda i ritorni economici, tanto che oggi solo il 25% degli incassi totali di una produzione provengono dal mercato theatrical, ovvero quello delle sale.

WorldAdmission1930-2010

La notizia poco nota è però che le condizioni del cinema (inteso come esperienza classica di visione in sala), dopo le brusche frenate degli anni ‘50 e ‘80, si sono mantenute piuttosto stabili per i decenni a seguire, ritrovando anzi una spinta positiva negli ultimi anni nonostante la grande mole di “avversari” tra home video, tv tradizionale, pay tv e un ulteriore ostacolo recentemente aggiuntosi alla già numerosa schiera: Internet. La Rete, terra virtuale dell’abbondanza, si è contraddistinta nei suoi pochi anni d’esistenza per l’inesauribile catalogo di oggetti, opere dell’ingegno, materiali che ha saputo mettere a disposizione dei suoi utenti, di gran lunga superiori alle collezioni di qualsiasi biblioteca o archivio che l’umanità ricordi. Tra questi materiali è stato facile riscontare come, non appena raggiunte le possibilità tecniche di sostenere il download o la visione in streaming di un lungometraggio, il cinema sia stato, insieme all’industria discografica, uno degli apparati che più ha visto trasformare la sua fruizione a causa del web.

Il futuro del cinema inteso come esperienza collettiva e rituale ha quindi avuto modo di riaffiorare nel dibattito pubblico anche molto recentemente, per esempio quando i dati del 2014 sull’affluenza del pubblico statunitense hanno visto il dato più basso dal 1995, e un calo del 6% rispetto al 2013. Basterebbe però una rapida consultazione dei dati di affluenza per ridimensionare fortemente ogni allarme apocalittico: secondo i dati della Motion Picture Association of America (l’associazione dei maggiori produttori cinematografici statunitensi), nel periodo 2010-2014 i biglietti venduti a livello globale hanno avuto un’impennata del 15% (garantita dall’esplosione dei mercati asiatici), e anche a livello nazionale gli ingressi in USA e Canada hanno mantenuto una media piuttosto invariata dal 2005 in poi.

Come se non bastasse – per quanto il futuro sia tendenzialmente ignoto – anche un recente report della PwC, agenzia internazionale di consulenze economiche, nelle sue proiezioni a lungo termine ha parlato di «resilienza del box office», pronosticando un ulteriore aumento del 15,9% negli incassi globali tra il 2013 e il 2018. Si aggiunga a questi dati la serie di aggiornamenti recentissimi sui molti record battuti dall’ultimo episodio di Star Wars, attualmente in sala, e il quadro sembra essere senza dubbio favorevole rispetto alle sorti della Settima arte.

USA e Internazionali

La democratizzazione dell’accesso agli artefatti culturali, così come la loro apertura alla riproducibilità e alterabilità dovute all’avvento della tecnologia digitale, stanno però dando luogo a cambiamenti piuttosto decisi all’approccio avuto finora rispetto all’ars cinematografica, tanto che la millantata fine del cinema è forse da cercare non tanto nella chiusura delle sale quanto nella diversa maniera in cui oggi si guarda, si diffonde e si modella l’oggetto-film a proprio piacimento. Siti di streaming legali o (in buona parte) illegali, collegati a migliaia di film in alta o bassa definizione, o file video scaricabili sul proprio PC, sono diventati in pochissimi anni una realtà diffusissima e (forse) inarrestabile, che ha di nuovo radicalmente sconvolto le modalità di consumo dell’oggetto filmico, ormai sempre più entità astratta e modificabile piuttosto che corpo materico, sequenziale e immutabile. Si viene dunque a costituire un processo progressivo di “selezione naturale” delle opere filmichevolte all’estinzione o alla sopravvivenza in base all’azione globale degli utenti, al potere acquisito da determinate strutture (siti di critica, archivi digitali, gestori dei diritti d’autore…), e a caratteristiche intrinseche ai testi stessi.

Gli apparati che hanno deciso le sorti di un’opera cinematografica, nel corso del Novecento, sono stati diversi: anzitutto le scelte produttive, distributive e di marketing dei detentori dei diritti del film; la scelta del pubblico in sala durante la sua prima distribuzione, naturalmente; i broadcaster televisivi, che scegliendo secondo le proprie linee editoriali quali film mostrare e con quale visibilità, hanno potuto assicurare la durata nel tempo del successo di un film; il mercato dell’home video, che è stato per diverse generazioni a partire dagli anni ‘80 il primo approccio alla forma filmica, e spesso foriero di seconde occasioni di fortuna per opere poco amate dalle sale; l’editoria specializzata e l’accademia, con la riscoperta di classici dimenticati, la promozione di film poco noti, e la creazione di un canone più o meno condiviso.

A questi già numerosi fattori in grado di determinare la sopravvivenza di un’opera si aggiunge oggi l’azione della Rete, sia per vie non dipendenti alla volontà del pubblico di massa (la bassa qualità di un filmato, che può allontanare molti spettatori; le decisioni delle piattaforme Over-The-Top, come Netflix), sia per vie che chiamano in causa l’enorme potere decisionale degli utenti (il fatto che una singola opera venga pubblicata, vista e modificata più o meno volte e attraverso più o meno sequenze). C’è il caso infatti di opere appartenenti al passato che esperiscono una nuova vita grazie alla riesumazione telematica, spesso operata da una base di fan che in alcuni casi ne determina il ritorno in voga, sconvolgendo anche in questo caso i più rigidi canoni accademici.

Il panorama dell’audiovisivo a venire sembra giocarsi tutto su questi ambiti, e sarà interessante osservare come, seppure attraverso modalità così diverse, tutti contribuiranno alla sopravvivenza o alla scomparsa del cinema nei prossimi centovent’anni.

Questo articolo è precedentemente comparso su Gli Stati Generali nel dicembre 2015.

Una risposta a "Il cinema è un’invenzione senza avvenire?"

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  1. Cominciamo col dire che l’articolo è assai ben scritto e di notevole interesse sia dal punto di vista artistico che ‘’socioculturale’’ se mi si permette di utilizzare quest’espressione. Traspare tanto l’interesse dell’articolista per una visione olistica e omnicompresiva di un tema annosso, quanto la sua invidiabile preparazione. Mi permetto tuttavia di muovere alcune osservazioni a riguardo nella ferma convizione che il dibattitto e la diatriba sono fratello e sorella maggiori della stima, in una famiglia allargata dove la cultura è madre, il rispetto è padre e i valori della civile convivenza sono nonni materni e paterni (ebbene si, le leggi della filosofia sono assai diverse da quellle della genealogia, un sollogismo puo essere uno e trino senza interventi dell’altissimo, un cromosoma no). Andiamo con ordine, partiamo dalla più banale delle affermazioni – ‘’vado al cinema’’. Vado al cinema, andare al cinema, non ‘’entrare’’ nel cinema, non ‘’salire’’ sul cinema come si farebbe su un omnibus o magari una nave. Ci siamo mai chiesti come mai utilizziamo questo verbo per descrivere il percorso che fa il giovane ogni sabato per spostarsi dalla casa natia al magnifico mondo di luci e colori che si rincorrono sullo schermo?. Ebbene a mio avviso ‘’andare’’ (o ‘’l’andare’’ se volessimo utilizzare la forma sostantivata del verbo) ci permette di aprire a un ambito molto piu ampio e ci inizia a una serie di archetipi e ponti dell’immaginazione, immergendoci anzitempo in un primordiale plancton dove i suoni, le voci le immagini che si rincorrono sullo schermo si fanno nutriente materia per noi affamati cetacei della celluloide (o della cellulosa se come me preferiamo ancora mettere nero su bianco i nostri pensieri su un vecchio, puzzolente, foglio di carta). Ecco che chiarito questo immaginario la mia divergenza con l’autore appare allo stesso tempo un solco incolmabile, un canyon profondo chilometri sopra il quale aleggiano maliziosi e malvagi gli avvoltoi dell’incompresione, ma allo stesso tempo un ruscello attraversato da un ponte, un innocuo corso d’acqua nel quale il viandante potrebbe non solo cadere senza correre il benche minimo rischio, ma anzi che potrebbe portar metaforica frescezza e giovamento alla sua convinzione. Non siamo quindi alfa e omega, a e zeta – non ci separa un intero alfabeto (che poi cos’è un alfabeto se non un universo semantico, anzi l’inzieme di tuttti gli universi semantici possibili), siamo piuttosto le due torri di vedetta alle estremita di un ponte, i punti che congiungono l’orsa maggiore nelle notti d’estate. Peccherebbe di superbia e peggio d’inesattezza chi volesse chiamare critiche queste osservazioni che sto muovendo all’articolo – nello stesso identico modo di chi volesse tacciar di critica la costatazione che i signorotti dei Promessi Sposi non sarebbero oggi spagnoli in quanto l’occupazione spagnola nel bel paese si è conclusa da tempo. Restando in questa meravigliosa metafora di manzoniana memoria, non ambisco certo a vedere il mio commento trattato come una predica di Fra Cristiforo, pregna di santita e intrisa dei valori piu nobili per l’epoca, mi limito a sperare che sia questo un breviario di Don Abbondio, un modesto compendio di facile compresione che possa portare brevi preghierine all’altare del ben piu amplio dibattito che a breve si sviluppera sulle originali testi dell’autore. Ringrazio perciò chi si è preso la briga di leggere questo breve contributo e mi auguro di avere espresso con sufficiente chiarezze i pochi ma decisi punti che a mio avviso possono positivamente integrare la piacevole lettura di quest’articolo.

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