Blonde – Vita e opere di Santa Marilyn | Recensione

Blonde, il film con Ana de Armas uscito il 28 settembre su Netflix in cui si racconta in versione romanzata la vita di Marilyn Monroe, è un genere di opera difficilmente giudicabile solo per i suoi meriti o demeriti artistici: fin dal titolo si tratta di un film a tesi, un film con un messaggio, un film che vuole mostrare la polvere sotto al tappeto, e in questo senso sembra una prova fallimentare.

Il film, a livello drammaturgico o estetico, può piacere o non piacere, e rientra nel sottogenere “donne famose che si muovono silenziose, eteree e dolenti tra le stanze in un mondo cattivo”, proprio come la Diana di Spencer (recensito qui) o la Jackie Kennedy di Jackie. La tesi è semplice: Marilyn, anzi Norma Jean Baker, era solo una brava ragazza con molti traumi, che nella vita è stata sfruttata pressoché da chiunque per la sua bellezza, quando lei era in realtà tutt’altra persona, molto più seria, innocente e rispettabile rispetto alla sua immagine pubblica di bomba sexy e oca senza cervello.

È chiaro che la storia di una donna che si è uccisa a 36 anni nonostante avesse tutto impone un’indagine sui fantasmi che le hanno impedito di apprezzare la vita, ma non credo che la strada per farlo sia mostrarla come una Santa Marilyn senza peccato che si limita a subire decisioni e violenze altrui.

In Blonde si ritrova infatti tutto il paternalismo di chi, per condannare le donne viste solo come corpi e oggetti del desiderio maschile (di cui Marilyn è l’archetipo assoluto) finisce per dipingerle al contrario come vittime assolute, martiri senza alcuna capacità di fare scelte e autodeterminarsi. La Marilyn di Ana de Armas, sull’orlo di una crisi di nervi per 2h e 47′, ha una lacrima talmente fissa in faccia che è più presente del famoso neo sulla guancia, e la sua eroina è un concentrato di traumi e soprusi di cui è sempre e solo la vittima passiva.

Il ragionamento sembra essere molto semplicistico: qui abbiamo una donna che per il mondo è l’emblema della “bionditudine”, della sensualità pura e semplice, del glamour metà innocente e metà trasgressivo, della bellezza che non porta con sé particolari altri meriti o motivi d’attrazione che non abbiano a che fare con la fisicità e la capacità di sedurre. L’icona pubblica di Marilyn non ha l’eleganza androgina di Audrey Hepburn, non ha la genuinità credibile di una Sophia Loren, non ha nemmeno la faccia imbronciata e grintosa di Brigitte Bardot: è l’emblema di ciò che gli americani chiamano bimbo, l’oca giuliva, la bambola metà infantile e metà smaliziata che ci sta, insomma la “bionda” del titolo.

E quindi come riabilitiamo questa figura, troppo poco in linea con i valori femministi, se non a loro antitetica? Facile: prendiamo spunto dalla sua vita reale, sicuramente infelice, e spingiamo a tavoletta sul renderla una vittima totale, una che vive in un costante stato di passività, e che sa solo piangere di dolore o commozione.

La Marilyn di Blonde, secondo una visione che sembra più maschilista che altro, è talmente il contrario dell’immagine seducente dell'”icona Marilyn” che sembra privata di qualsiasi sensualità, qualsiasi capacità di seduzione, qualsiasi malizia, come se la sua riabilitazione dovesse per forza passare per una sua verginità, sempre e solo vittima di uomini voraci e cattivi, e incapace di godere del suo fascino.

Quello che non torna però è nei rari momenti in cui si vede anche la Marilyin cinematografica, quella che canta di diamanti, che alza la gonna o canta buon compleanno a Kennedy in modo tutt’altro che innocente, pienamente consapevole del suo potere d’attrazione: quell’immagine è talmente distante dalla Norma Jean costantemente triste e impotente che non si può non notare la dissonanza.

Indubbiamente la “vera” Marilyn, quella dietro le quinte, era una persona molto più complessa e complessata di quanto film o servizi fotografici lasciassero intendere, e il libro di Joyce Carol Oates voleva esporre proprio questo lato così diverso dal corpo-oggetto che tutti conosciamo, ma questa versione cinematografica non racconta una donna complessa, capace di sedurre così come di soffrire: per la riabilitazione ai nostri occhi, e soprattutto agli occhi femminili, ogni traccia di quella che i professori chiamano agency, la capacità di agire e fare scelte, dev’essere annullata per dare la colpa agli “altri”, c’est à dire agli uomini.

Uomini che ovviamente, negli anni Cinquanta come ora, avranno approfittato senza scrupoli della protagonista in questione, ma se si conferisce a loro tutto il potere d’azione sulla vita della protagonista, allora di questa protagonista cosa rimane? Perché ce la ricordiamo a distanza di sessant’anni dalla morte? Perché con una manciata di film e un tot di copertine si è imposta come icona senza tempo?

Applausi ad Ana de Armas (che si prenderà una meritata nomination agli Oscar) e a tutto il cast tecnico del film, che fa un lavoro più che pregevole nel riportare in vita questa donna e il tempo in cui ha vissuto, ma se l’intento di questo film era offrire un’immagine nuova di Marilyn Monroe, allora ci si chiede se le abbiano davvero fatto un favore.


Blonde è disponibile su Netflix dal 28 settembre 2022, qui il trailer:

4 risposte a "Blonde – Vita e opere di Santa Marilyn | Recensione"

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  1. Più o meno d’accordo su molti punti, però ho anche una critica. Non hai menzionato la musica scritta da Nick Cave che secondo me è uno dei punti più alti di tutto il progetto.

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  2. Sono felice di leggere che anche secondo te “Blonde” è un film a tesi (dato che lo è senza ombra di dubbio, e nella maniera peggiore possibile).

    Ho visto il film il giorno stesso che è uscito su Netflix, dopo averlo lungamente aspettato per via di Ana de Armas (eccezionale) e nonostante ne avessi già letto pareri negativi: immediatamente dopo aver finito di vederlo ero così arrabbiato che ho scritto subito una lunga recensione molto irritata su Letterboxd e su DeBaser (che ti linko qui) in cui non solo lamento i tuoi stessi difetti, ma ci trovo anche dei riferimenti all’iconografia cattolica quantomai fuori luogo (non perché irrispettosi verso la religione, ma verso Marilyn).

    In breve: offensivo per la memoria dell’attrice e per l’intelligenza dello spettatore.

    Piace a 1 persona

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