Consigli per tutti e anche qualche film decisamente sconsigliato, così da evitare rischi.
Come sempre, ogni stroncatura di capolavori immortali o apprezzamento di schifezze immonde è pubblicata in piena facoltà di intendere e di volere e non è sottoponibile ad azione penale da parte di cinefili offesi nell’animo.
All’interno: Split, Signori, il delitto è servito, Bagdad Cafè, Vigilato speciale, L’altro uomo.
Via al volume 12! (qui l’archivio con tutti gli altri volumi, e qui tutti i film in ordine alfabetico)
Split
M. Night Shyamalan, 2016
C’è stato un momento in cui M. Night Shyamalan dominava la Terra, o quantomeno il cinema mondiale. Il botto enorme del “vedo la gente morta” del Sesto senso, nel 1999, che infiniti spunti diede agli Scary Movie, aprì la strada a una serie di film che fecero gridare al nuovo Spielberg, ovvero Unbreakable – Il predestinato (2000), Signs (2002) – con un Mel Gibson non ancora esiliato da Hollywood – e The Village (2004).
Poi, la caduta. Ben cinque film di scarsissimo successo, e il suo nome usato dalle riviste di cinema come sinonimo di meteora passeggera. Ma come in ogni buona storia che si rispetti, c’è sempre un terzo atto, e nel 2016 il buon Shyamalan se ne torna con un filmetto da soli 9 milioni di dollari di budget, Split.
Il fatto è che il filmetto di dollari ne ha incassati ben 278 milioni, e a un certo punto sembrava che tutti fossero impazziti all’idea – centrale per la trama – di uno psicopatico con ben 23 personalità diverse.
Francamente non vedo il motivo di tanto entusiasmo, perché la storia di tre ragazze sequestrate dal pur bravo e inquietante James McAvoy in versione Psyco al cubo potrebbe essere tranquillamente quella di mille b-movies di quelli che arrivavano direttamente ai videonoleggi. Per tanto, troppo tempo si aspetta che l’azione prenda il via, e quando succede, Shyamalan non sa resistere a dare un tocco di sovrannaturale che era proprio ciò che doveva evitare. Passabile, e bravo il protagonista, ma non se ne capisce il successo sproporzionato.
Signori, il delitto è servito (Clue)
Jonathan Lynn, 1985
Per chi è nato in quegli anni, le commedie anni Ottanta hanno sempre un alone positivo dovuto alla nostalgia, soprattutto quelle rivolte anche a un pubblico infantile. Certe facce, certi doppiatori, certi colori della fotografia, certi caratteristi sembrano appartenere a un’epoca ormai perduta, e questo film rientra nella categoria.
In questo caso, l’idea di partenza è più unica che rara: si tratta infatti dell’adattamento cinematografico, con lo zampino di quel geniaccio di John Landis… di un gioco da tavola. Nello specifico, il mitico Cluedo, prodotto a partire dal 1948, che permetteva ai giocatori di improvvisarsi detective in un contesto alla Agatha Christie.
Ed è proprio ad Agatha Christie e ai gialli vecchio stile come Dieci piccoli indiani, in particolare (da cui un film omonimo e Invito a cena con delitto, del 1976), che questo film si ispira, condendo una trama di mistero (un gruppo di persone invitate a casa di un ospite sconosciuto) con abbondanti dosi di commedia.
Gli attori sono ottimi, con il mai abbastanza ben sfruttato Tim Curry, Christopher “Doc Brown” Lloyd, una Lesley Ann Warren inquietantemente identica a Susan Sarandon e altri comprimari che reggono un film tutto ambientato in una villa. Il problema è che il gioco viene tirato davvero troppo per le lunghe, le situazioni sono eccessivamente inverosimili e la risoluzione è talmente confusa che il regista ha scelto di offrire ben tre finali diversi, uno più incomprensibile dell’altro.
Bagdad Café (Out of Rosenheim)
Percy Adlon, 1987
Se c’è un film che ha tutte le carte in regola per essere qualcosa di non classificabile nelle caselle in cui siamo soliti inserire i film, è questo: girato da un regista tedesco nel deserto del Mojave; ambientato prevalentemente in una stazione di servizio in mezzo al nulla; interpretato da una paffuta signora bavarese che finirà per avere un flirt col vecchio duro di Hollywood Jack Palance.
La storia è quella di Jasmin, turista tedesca che, dopo aver litigato col marito durante un viaggio nel deserto statunitense, si incammina da sola armata di un valigione verso il primo avamposto di civiltà. Che in questo caso è il distributore di benzina con annesso bar e motel di Brenda, una donna di mezz’età anche lei in crisi col marito, piuttosto burbera e poco amante degli estranei.
Qui la signora, che parla pochissimo inglese e si fa capire a gesti e sorrisi, si stabilisce in una stanza e sembra voler fare di tutto per accattivarsi la simpatia di Brenda e dei frequentatori abituali del posto, rimettendolo a nuovo volontariamente e aprendosi un varco nei loro cuori grazie a bontà d’animo e innocenza.
Il tutto è uno strano mix tra gag da film muto, personaggi e ambienti che anticipano Arizona Dream di Kusturica, un po’ di inquadrature sghembe alla Arizona Junior dei fratelli Coen, scenari e silenzi alla Antonioni, colonna sonora alla Paris, Texas e una grazia che sembra attualizzare lo Chaplin più puro di cuore o il tocco trasformativo di Mary Poppins.
Il film è lento e ci si mette un po’ ad afferrarne il ritmo, ma un po’ come gli avventori del bar nei confronti di Jasmin, basta avere pazienza e alla fine del film usciamo conquistati dalla sua figura nonostante la diffidenza iniziale.
Vigilato speciale (Straight Time)
Ulu Grosbard, 1978
Per conoscere la storia di Edward Bunker potete dare una scorsa all’articolo che gli ho recentemente dedicato, ma se siete pigri posso dirvi che è uno scrittore che a quarant’anni pubblicò il suo primo romanzo, Come una bestia feroce (1973), dopo aver passato diciott’anni della propria vita in carcere.
Il libro è la storia, non strettamente autobiografica ma ricca di dettagli che solo un vero galeotto potrebbe conoscere, di un uomo che dopo otto anni di reclusione riacquista la libertà e inizialmente si sforza di rigare dritto tra le tentatrici strade di Los Angeles.
Il problema è che Max Dembo, il pregiudicato protagonista, non vede nulla di allettante in una vita onesta e tranquilla, e quindi ci vuole poco perché torni a delinquere e a rischiare la vita.
Il film vede Dustin Hoffman nel ruolo centrale, ed è piuttosto fedele al romanzo, pur con diversi personaggi ed episodi tagliati o fusi insieme. Il fatto è che, guardandolo, ci si rende conto di quanto la forza del libro non stesse nella trama – piuttosto banale – ma nei pensieri espressi in prima persona dal narratore Dembo, che qui spariscono. Hoffman inoltre è davvero poco credibile nel ruolo, che sulla pagina sembrava decisamente più minaccioso, e per quanto faccia del suo meglio, il film è un prodotto onesto ma piatto e senza alcun guizzo.
La grande coppia di ladri Hoffman-Harry Dean Stanton, però, meritava di meglio.
L’altro uomo (Strangers on a Train, anche noto come Delitto per delitto)
Alfred Hitchcock, 1951
Tendenzialmente, tutti i film di Hitchcock contengono almeno una stilla di perfezione. Può essere l’idea di base della trama, può essere un metodo di omicidio, può essere un movimento della macchina da presa, un momento di humor nero, una velata allusione piccante o un attore secondario particolarmente memorabile.
Poi certo, ci sono film che uniscono tutto questo, e allora si parla giustamente di capolavori immortali che fanno capire come quasi nessun altro (mi vengono in mente Spielberg, Billy Wilder e pochi altri) sia riuscito a portare a certe vette l’intrattenimento congegnato come un meccanismo ad orologeria.
In questo caso, alcuni elementi sono presenti, ma il risultato manca di quella coesione e riduzione all’osso che rende grandi i suoi grandi film. L’attacco è geniale: due sconosciuti si incontrano su un treno e, chiacchierando, si rendono conto che entrambi trarrebbero vantaggio dalla morte di un loro congiunto, nello specifico il padre di uno e l’ex moglie dell’altro.
Se però per uno dei due si tratta di un discorso ozioso e macabro, l’altro (un luciferino Robert Walker che per divertimento buca i palloncini ai bambini con la sigaretta) prende sul serio la chiacchierata, e si ripromette di compiere il delitto “per procura”, aspettandosi che il favore venga ricambiato.
Purtroppo il resto del film non ha sviluppi geniali quanto l’inizio, e il “buono” dei due è troppo ligio ai suoi princìpi per non rendere il film noioso dopo un po’, ma un paio di inquadrature (l’omicidio visto dal riflesso degli occhiali, una partita di tennis in cui tutti gli spettatori si voltano tranne il nostro antagonista) e una scena di pura follia centrifuga su una giostra per bambini confermano la classe del maestro.
Alla prossima puntata! (qui l’archivio con tutti gli altri volumi, e qui tutti i film in ordine alfabetico)
Bagdad Café l’ho visto a luglio dopo che una ragazza lo aveva scelto per Film People. Non ricordavo che tu lo avessi visto un paio di mesi prima!
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“L’altro uomo” l’ho visto ieri sera: bello, la scena della giostra è davvero magnifica (anche se è vero che il protagonista è un po’ moscio) e alcune trovate registiche, tra cui quelle che hai citato, sono davvero una goduria.
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Ormai un sincronismo perfetto! 😀
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