Wit. Con sole tre lettere gli anglosassoni hanno modo di definire una dote che per noi italiani è un misto tra “arguzia”, “spirito”, “umorismo”, “verve” e “ingegno brillante”. Ecco, Fran Lebowitz, la protagonista della docuserie intitolata Fran Lebowitz: una vita a New York, firmata Martin Scorsese e uscita su Netflix l’8 gennaio 2021, ha fatto del wit il suo mestiere.

Lebowitz però non è una cabarettista, nonostante i suoi aneddoti siano spesso umoristici, né una scrittrice a tempo pieno, visto che l’ultimo libro che ha pubblicato risale al 1994. La sua figura è uno strano ma intrigante ibrido tra personaggi normalmente appartenenti a sfere diverse: il primo nome che viene in mente è Woody Allen, un po’ per la comune cultura ebraica, un po’ per l’essere newyorchesi al 100%, e un po’ per l’attitudine da radical chic sempre pronti a lamentarsi del mondo facendo allo stesso tempo ridere, anche se nel suo caso con un fare meno dimesso e più assertivo.
Un altro nome potrebbe essere Jerry Seinfeld, anche lui newyorchese e protagonista della fortunata sit-com che portava il suo cognome (recensita qui), noto per uno stile umoristico basato sull’osservazione attenta dei piccoli comportamenti quotidiani degli altri, soprattutto degli abitanti di una metropoli scontrosa e lamentosa come New York (Lebowitz però è sicuramente più caustica e cinica).
Altri nomi ancora potrebbero essere quelli di Joan Didion e Tom Wolfe, maestri del giornalismo d’autore che con i loro lunghi saggi e reportage hanno saputo raccontare le manie d’America e le mode degli ambienti intellò senza dimenticare di prenderli e prendersi poco sul serio.
Come Wolfe, che per decenni ha vestito di bianco come un gentleman sudista, anche Lebowitz ha poi da tempo immemore la sua divisa: occhiali di tartaruga, camicia bianca con gemelli, giacca da uomo, mom jeans e stivaletti da rodeo, con l’effetto di ricordare una Patti Smith con la faccia di Lou Reed.

Se però negli USA Fran Lebowitz (classe 1950) è un volto e una firma noti, tra editoriali su mille riviste e apparizioni da David Letterman, in Italia è decisamente poco conosciuta, ed è quindi benvenuto il fatto che Martin Scorsese, suo amico di lunga data e regista senza bisogno di presentazioni, abbia deciso di dedicarle un ritratto di addirittura sette episodi da mezz’ora.
La struttura di Fran Lebowitz: una vita a New York (in originale Pretend It’s a City) è quella di una lunghissima intervista alla protagonista (oggi settantenne) mentre fa sganasciare dalle risate l’amico Marty, intervallata da filmati d’epoca, riprese delle sue passeggiate cittadine e spezzoni di vari prodotti audiovisivi che abbiano a che fare con la città del titolo, costante oggetto delle conversazioni.
La giornalista, public speaker e scrittrice (nonché occasionale attrice, anche in The Wolf of Wall Street nel ruolo della giudice) si è trasferita nella Grande Mela nel 1969, quando era pressoché identica a una giovane Carole King, e da allora è passata dal guidare taxi (una rarità assoluta all’epoca per una donna) al frequentare tutto il bel mondo, da Andy Warhol (sulla cui rivista Interview aveva una rubrica fissa) in giù.

Nel 1978 ebbe grande successo il suo primo libro, Metropolitan Life, che collazionava articoli umoristici di critica sociale, al quale seguì nel 1981 Social Studies. Da allora, con due soli altri libri all’attivo, il suo ruolo è stato tendenzialmente quello di una Jep Gambardella in gonnella (se solo ne indossasse): opinionista sagace, spesso irritante nel suo lamentarsi dell’universo mondo con quel fare burbero tipicamente newyorchese, ma anche illuminante nei suoi commenti ed esilarante nei toni.
Il buon Scorsese era rimasto evidentemente affascinato dalla sua figura, tanto da dedicarle uno special di HBO nel 2010, e ha deciso di rincarare la dose con questi sette episodi di opinioni a ruota libera, aggiungendoci da par suo le musiche scritte per Manhattan da Alfred Newman e George Gershwin e le citazioni da La dolce vita o dal Gattopardo, e a sorpresa addirittura da Nuovomondo di Emanuele Crialese.
Lebowitz ha da dire, e soprattutto da ridire, su tutto: dei giovani d’oggi dice che sono eccessivamente aggressivi oppure eccessivamente adulatori; dei guilty pleasures dice che non ne ha perché nessun piacere la fa sentire colpevole; dello sport dice che lo odia, ma allo stesso tempo ha visto il match tra Ali e Frazier dal vivo; di Andy Warhol dice che non si piacevano e che ha venduto alcuni suoi quadri due settimane prima che morisse (e che le sue quotazioni si alzassero a dismisura), tanto da pensare che lui l’abbia fatto apposta; perfino del MeToo è una delle poche che possa permettersi di dirsi tendenzialmente d’accordo ma aggiungere che fare l’attrice ha sempre comportato compromessi di un certo tipo.

Per il resto, le sue sono massime che spaziano tra la saggezza – come quando ammette che “si continuano a fare errori con l’avanzare dell’età, ma si hanno meno scuse”, o riflette sul fatto che il talento sia tra le poche cose che non si possano comprare, imparare o ereditare –, e quello snobismo irritante di chi, da buon radical chic, ha come principale campo d’interesse i cosiddetti first world problems, i problemi da primo mondo come le file all’aeroporto, tanto da dichiarare che per decidere di andare in vacanza bisogna necessariamente avere una vita orribile.
Insomma, alla lunga ci si chiede, dopo le risate, come facciano i suoi amici a frequentarla con costanza, con quell’egocentrismo autocompiaciuto di chi ormai è convinto che tutti pendano dalle sue labbra per ottenere pillole di saggezza, ma si tratta indubbiamente di una persona che ha fatto del suo spirito d’osservazione caustico e del suo humor il suo mestiere, che vive di aneddoti e ragionamenti, e come ammette lei stessa, non è un’impresa facile in un mondo in cui normalmente “nessuno ti paga per leggere sul divano”.
Lei c’è riuscita, e passare tre ore abbondanti in sua compagnia fa capire perché, anche se forse lasceremmo ad altri il privilegio di ascoltare i suoi pareri per un minuto in più.
Fran Lebowitz: una vita a New York di Martin Scorsese è disponibile su Netflix dall’8 gennaio.
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