Luca: pane, amore e (poca) fantasia | Recensione

Alla fine è arrivato: il 18 giugno 2021 Luca, il nuovo film Pixar – anzi, Disney Pixar – ambientato in Liguria e diretto dall’italiano Enrico Casarosa, è approdato direttamente in streaming su Disney+.

Un nuovo film Pixar, in questa fase della storia del glorioso studio d’animazione, è ormai qualcosa da salutare con eccitazione ma anche con una certa dose di apprensione, un po’ quella che prende i tifosi di una squadra imbattuta da lungo tempo, da cui ci si aspetta prima o poi l’inevitabile passo falso.

E in effetti, in quanto a sforzi per diventare sinonimo di intrattenimento di altissima qualità, apprezzato da genitori e pargoli e spesso capace di affrontare argomenti molto complessi per un cartone animato, la Pixar negli anni non ha lesinato energie: da Inside Out a Coco, da Up a Soul, i passi falsi sono stati pressoché inesistenti.

Grandi aspettative, dunque, per questo Luca, che oltretutto non possono che aumentare per gli spettatori italiani, che nel migliore dei casi vedranno il proprio Paese come trend vacanziero del prossimo futuro, e nel peggiore si lamenteranno di una rappresentazione infedele della realtà nostrana.

Il verdetto, dopo averlo visto, rimane però sospeso: in quanto a intrattenimento ce n’è a volontà, la commozione fa la sua comparsa, e l’Italia ne esce senza pizze all’ananas né svarioni linguistici all’americana, ma sembra mancare proprio quel tocco magico che dalla Pixar ormai si pretende.

Il problema non è certo nei disegni (splendidi, coloratissimi e molto debitori dello stile di Wallace & Gromit), né nella simpatia dei protagonisti, ma principalmente nella scrittura, che offre una trama in cui 1) il motore centrale della storia non viene mai spiegato, 2) i personaggi di contorno non risultano riuscitissimi e 3) l’impianto narrativo sembra solo un debole canovaccio senza svolte per arrivare a una conclusione facilmente intuibile.

Ma andiamo con ordine: la trama in questione. Luca, che di cognome fa Paguro e ha intorno a tredici anni, è una misteriosa creatura anfibia che vive con la famiglia “in fondo al mar”, nello specifico quello ligure, con le fattezze di un ragazzo-pesce, ma che non appena fa sbucare il corpo dell’acqua si trasforma istantaneamente in umano.

Il giovane innesto tra Pinocchio e la sirenetta Ariel non ha però mai messo piede fuori dal mare, visto che a casa sua vige la regola ferrea di tenersi alla larga dal mondo “di sopra”, popolato da “sanguinari lunatici” che raccontano dei mostri marini nelle loro leggende e non esiterebbero a farli fuori rapidamente con un arpione.

Come piuttosto prevedibile, Luca trasgredisce all’ordine dei genitori, e si fa convincere da un nuovo amico, Alberto, a emergere dalle acque per esplorare il modo di vivere degli umani e in particolare per mischiarsi tra loro nella vicina cittadina marittima di Portorosso, chiara sintesi visiva dei borghi delle Cinque Terre.

Uniti dalla passione per la Vespa, i due scoprono che in paese esiste una competizione in una sorta di triathlon che, se vinta, gli permetterebbe di acquistare l’ambito motoveicolo Piaggio. Luca e Alberto, quindi, con tutte le immaginabili gag dello scoprire le abitudini umane (tipo mangiare la pasta con l’arricciaspicc… forchetta), fanno squadra con una ragazzina locale, Giulia, e si allenano per giorni fino al giorno del torneo.

Loro nemici saranno un bulletto locale (con la voce perfetta per un cartoon di Saverio Raimondo), già plurivincitore della coppa, e il rischio di venire scoperti dalla comunità locale, piuttosto alto visto che ogni volta che entrano a contatto con l’acqua tornano in forma ittica.

Nel frattempo, i genitori-pesce di Luca, impensieriti dalla sua fuga da casa, sfidano la paura, si trasformano a loro volta e escono anche loro all’aria aperta, cercando il figlio in città senza sapere nemmeno che tratti somatici abbia in forma umana.

La pasta al pesto, la Vespa di Vacanze romane, il santino con la faccia iconica del Mastroianni di Divorzio all’italiana, l’amicizia estiva sui colli come in Chiamami col tuo nome, la colonna sonora anni Sessanta con Mina come in Master of None, le casette colorate sul porto proprio come quelle nelle foto dei vip che affollavano Portofino ai tempi della Dolce vita… Non si esce vivi dagli anni Sessanta, c’è poco da fare: l’Italia che piace non si è mossa di un millimetro da allora, e in effetti di cosa ci si può lamentare? Qualsiasi scenario nostrano, dopo una spruzzata di nostalgia a base di zero tecnologia, colori pastello, vestiti a fiori, auto d’epoca e twist in sottofondo, è sempre più bello, e il mondo lo vuole ancora così.

In quanto a spottone per il Bel Paese, dunque, tutto è fatto a pennello, anche i dettagli minuti ma graditi come il cognome di Giulia, Marcovaldo, omaggio al ligure Italo Calvino, o la popolarità internazionale offerta a brani di Bennato, Rita Pavone o Gianni Morandi (che dopo Parasite ci avrà fatto l’abitudine), per i quali ci si sente grati a un italiano che è andato lontano come il regista Enrico Casarosa.

Il problema è che tutti questi bei paesaggi e queste belle storie d’amicizia tra specie diverse sono incastonate in una sequenza di eventi che è il minimo sindacale si possa chiedere non solo a un cartoon Pixar, ma a un cartoon in generale: Luca, del quale la capacità di trasformarsi non è mai minimamente spiegata, esce per la prima volta fuori dal mare, scopre la Vespa e per comprarne una partecipa a una gara piuttosto improbabile. Intanto, i genitori lo cercano. In quanto a temi profondi, sviluppi narrativi e a rapporti causa-conseguenza, un po’ pochino, considerando che il resto del film lo fa la cartolina italiana già pronta all’uso.

Insomma, il problema non è tanto in quello che già esisteva nella realtà, ma in quello che gli autori hanno apportato con la propria fantasia: diciamolo, la storia dell’essere marino che scopre con ingenuità il mondo terrestre e per questo corre dei rischi, non è esattamente originalissima: se non volessimo arrivare fino al 1837 de La sirenetta di Hans Christian Andersen, basterebbe fermarsi anche al 1989 dell’omonimo classico Disney.

C’è poi anche il puro aspetto della costruzione dei caratteri, su cui lo studio californiano è sempre stato vincente: qui, al di là della simpatia di superficie, sia i buoni che i cattivi sembrano bidimensionali, i rapporti non si evolvono davvero, le gag ricorrenti lasciano a desiderare e i dialoghi, peggiorati da una strana dizione del doppiaggio, risultano, come si suol dire, cringe, con battute poco efficaci (“Girolamo Trombetta”; “Silenzio, Bruno!”… prego?) e parenti adulti che non spiccano per simpatia mediterranea.

Nota finale: il Messaggio. In un film che per il resto non sembra eccessivamente focalizzato sui Grandi Temi della Vita – Inside Out entrava nella mente umana, Soul parlava dell’aldilà –, l’agnizione finale, in cui una volta gettata la maschera umani e mostri marini risultano uguali al di là delle apparenze, per quanto commovente sembra una strizzata d’occhio dell’ultimo minuto alla comunità LGBT, fatta apposta per potersi appuntare al petto una patente di “profondità”.

Insomma: godiamoci i colori, le canzoni, l’amicizia estiva, la faccia simpatica dei ragazzini, le Vespe e l’Italia che fu, e Luca sarà un piacevole intrattenimento (specie per i più piccoli), ma per la prossima volta, dall’unione di Disney e Pixar ci aspettiamo anche una sceneggiatura che non sia solo una serie di amabili riempitivi.

Luca di Enrico Casarosa (2021) è disponibile dal 18 giugno sulla piattaforma di streaming Disney+.

3 risposte a "Luca: pane, amore e (poca) fantasia | Recensione"

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  1. Che strano trovarsi così in disaccordo su un film.
    I personaggi secondo me sono tutto fuorché piatti, compresi gli adulti che, ad esempio in Inside out, sono (forse volutamente) veramente privi di sfumature e poco realistici.
    In Luca ci sono caratteri e personalità diversi e di messaggi, specie per dei ragazzini in fase di crescita, ce ne sono molti.
    Non ho trovato alcuna “strizzata d’occhio” fine a se stessa, al contrario c’è un’attenzione alla fase evolutiva della persona, all’importanza di fare esperienza di sé e del mondo al di là e contro i propri genitori (vedi anche quel Silenzio Bruno, che è un modo per vincere le proprie ansie); c’è l’importanza di accogliere la diversità e la varietà di sfumature nelle cose e nelle persone, non necessariamente da leggere in chiave LGBTQI.
    Penso che possa essere d’aiuto a molti ragazzini che vivono una fase di crescita e magari è anche una piccola goccia nel mare del grande problema delle relazioni tra esseri umani diversi tra loro (che siano ragazzini sottoposti a bullismo e cyberbullismo o adulti che discriminano in base alla razza, al sesso o all’orientamento sessuale).

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