McCartney 3,2,1 – Racconti attorno al mixer | Recensione

Di libri, documentari, film, storie e aneddoti sui Beatles il mondo è pieno, tanto che la beatleologia potrebbe ormai essere una sorta di sottogenere editoriale su cui pressoché chiunque si è misurato, vista la fama ancora inossidabile del quartetto di Liverpool a ben sessant’anni dai primi dischi.

Di membri dei Beatles, però, non c’è tutta questa abbondanza: su circa sette miliardi di abitanti del pianeta, sono solo due quelli disponibili, e se uno dei due decide di concedersi per parlare di sé in una docuserie di sei episodi, è lecito che la curiosità aumenti. Se poi ad intervistarlo nel corso di tutti gli episodi è l’über-produttore Rick Rubin, che da Johnny Cash a Tom Petty, dai Beastie Boys ai Run-DMC, ha dimostrato negli ultimi trent’anni di capirne qualcosa di musica, l’attenzione non è malriposta.

Il Beatle protagonista di McCartney 3,2,1 è, come intuibile, il settantanovenne Sir Paul McCartney, che ha accettato di discutere la propria carriera dentro e fuori dai Beatles per la regia di regista Zachary Heinzerling. La serie è stata prodotta dalla piattaforma Hulu, che l’ha diffusa negli Stati Uniti il 16 luglio 2021 prima che, il 25 agosto, la docuserie uscisse anche in Italia su Star, canale “adulto” di Disney+.

I sei episodi durano circa mezz’ora ciascuno, e vedono i due protagonisti immersi in un bianco e nero non particolarmente strabiliante mentre, semplicemente, parlano di musica. Lo fanno in uno studio di registrazione che potrebbe essere quello di Abbey Road, con a disposizione una chitarra, un pianoforte, e soprattutto un vecchio mixer d’annata, attraverso il quale Rubin fa ascoltare al Macca i suoi successi e gli chiede di commentarli.

Sempre identico da trent’anni a questa parte, Rubin è come al solito a piedi nudi, vestito in abbigliamento casual e con un enorme barbone a metà tra Karl Marx e un santone indiano, e senza grandi introduzioni lo sentiamo rompere così il ghiaccio: “Allora, ti va di sentire un po’ di musica?”. “Sì, che hai?”, risponde Paul, e si va avanti così senza una precisa cronologia, tra pezzi del dopo-Beatles, superclassici dei Fab Four e anche chicche poco note per beatlesiani incalliti.

Per ognuna McCarteny ha un aneddoto, una storia che solo lui (e Ringo) può conoscere senza ombra di smentita, e di quando in quando, a colori, arrivano all’improvviso come flash di ricordi i filmati dei glory days.

Scopriamo così che il titolo di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, probabilmente il disco più famoso di sempre (insieme a Dark Side of the Moon dei Pink Floyd e poco altro), nacque quando un roadie a pranzo gli chiese: “Mi passeresti sale e pepe?” (salt and pepper), e Paul lo fraintese come “Sergeant Pepper?”.

Allo stesso modo, lo vediamo ricordare con una memoria invidiabile il nome dell’addetto di un negozio di musica che gli insegno gli “accordi nuovi” che poi avrebbe utilizzato per Michelle, nata come canzone da ridere durante le feste.

Paul, con la sua eterna gomma da masticare in bocca, risulta sempre un po’ cringe, va detto, come se quella giovialità fosse a volte un po’ imbarazzante, anomala, e ci sentissimo tutti un po’ in soggezione di fronte a lui. Rubin, dal canto suo, è un po’ troppo timido nell’aggiungere le sue valutazioni da esperto, limitandosi a grandi complimenti, e davanti al mixer non azzarda abbastanza con le levette, privandoci del piacere di ascoltare versioni alternative dei grandi classici (non mi stupirebbe se ci fossero obblighi contrattuali in merito).

Però c’è poco da fare: quando due persone che conoscono la musica da vicino parlano di musica, ne esce quasi sempre qualcosa di meglio di quando uno dei due non ne sa niente, e qui si spazia dall’ispirazione presa dai Concerti brandeburghesi Bach per l’assolo di trombino in Penny Lane alla commozione davanti a un concerto di Fela Kuti, dai nastri in loop di Tomorrow Never Knows a quando inserirono in Sgt. Pepper un ultrasuono udibile solo dai cani!

I difetti dell’operazione stanno probabilmente proprio nel fatto che un eccesso di lodi e autocelebrazione può risultare ripetitivo dopo un po’, e all’ennesimo “Amazing!” ci si chiede se qualche domandina più cattivella, o qualche critica a un arrangiamento, non si potesse fare. Allo stesso modo, ormai le vecchie rockstar hanno già ripetuto mille volte tutto sulla loro storia, e in questo caso esisteva già la monumentale docuserie della BBC The Beatles Anthology (1995), e per quanto riguarda Rubin è possibile ascoltarlo intervistare musicisti già dal 2018 attraverso il podcast Broken Record.

In ogni caso, è probabilmente la prima volta nella Storia che un testimone oculare parla di qualcosa avvenuto sessanta anni fa e nonostante il tempo passato la cosa diventa comunque un evento mediatico, qualcosa di cool, apprezzabile da coetanei come dai giovanissimi.

È la magia dell’Era del dopoguerra che ancora ci cattura, dell’epopea del rock che ancora regna nell’immaginario collettivo e ovviamente dei Beatles, la cui stella non accenna a tramontare. Come dice Macca con un sorrisetto ironico riascoltandoli, “Good group!”.


McCartney 3,2,1 è disponibile in sei episodi su Disney+ a partire dal 25 agosto 2021.

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