Il 2 novembre 2018 è uscito in tutto il mondo More Blood, More Tracks, la quattordicesima puntata della Bootleg Series di Bob Dylan, e non poteva essere scelta data più adatta. Per quanto infatti Blood On The Tracks – l’album del 1975 di cui questa è una raccolta di incisioni non utilizzate all’epoca – non presenti nessuna traccia legata al tema della morte, è indubbio che buona parte delle sue atmosfere siano decisamente amare e malinconiche, un vero e proprio trattato musicale sulla perdita dell’amore.
Nel 1974 (anno dell’incisione di questi pezzi), Dylan è una rockstar affermatissima, fresco di ritorno sui palchi grazie a un tour di grande successo insieme alla Band, ma è anche un padre di famiglia trentatreenne sposato da otto anni con Sara Lownds, da cui ha avuto quattro figli. Il periodo è però decisamente tra i meno felici della loro relazione, la loro vita coniugale è in frantumi e nel 1977 si arriverà al divorzio.
Dylan fino a questo momento è stato decisamente criptico sulla sua vita privata, e le sue canzoni, se hanno mai riflettuto le sue emozioni, lo hanno sempre fatto in modo ermetico, sfuggente, a colpi di metafore surreali e giochi di parole. Nella maggior parte dei casi, il Dylan che scrive di donne è o un innamorato felice e fin troppo banale nel dichiararlo, oppure, nel migliore dei casi, un vendicatore feroce e indifferente che approfitta delle canzoni per scagliare frecciatine velenosissime ma ricche di creatività alle sue partner.
Questa volta però è diverso.
Dylan è davvero colpito nel profondo dalla separazione in corso, che ormai di fatto è già avvenuta, e decide di usare la sua arte come terapia, aprendosi nei suoi pezzi come mai aveva fatto prima, lasciando il suo “sangue sui solchi” di un LP che è la radiografia della fine di un amore.
Per farlo, inizialmente si affida soltanto alla sua voce, alla sua fidata armonica e un paio di chitarre acustiche, ed è questa la versione in cui lo vediamo nella maggior parte delle tracce di questa raccolta di outtakes. Il livello di intimità è assoluto, e solo pochi altri artisti – pensiamo a Neil Young, a Joni Mitchell, a Paul Simon – sono riusciti ad essere al tempo stesso così franchi nell’aprirsi al pubblico sul proprio vissuto e allo stesso tempo così universali.
Poi Dylan, quando ormai il disco è praticamente pronto, ci ripensa e aggiunge una band a diversi dei pezzi già registrati, e se il mood intimistico ne soffre, il disco finito ci guadagna in varietà e ritmo, lasciando filtrare un po’ di speranza e levità. In queste More Tracks, come dice il titolo, c’è invece more blood, e anche le canzoni che risulteranno più leggere sono nella loro forma embrionale e più malinconica
Tutto comincia con Tangled Up in Blue, un “c’era una volta…” iniziale, una canzone-racconto che mostra Dylan al suo meglio nel narrare una storia ma allo stesso tempo confondere chi la ascolta, mischiando i piani del presente e del passato in un quadro cubista in cui tutto si lega meravigliosamente. Basta l’attacco per trascinarci subito nelle vite raccontate:
“Una mattina presto il sole splendeva, io me ne stavo sdraiato a letto / A chiedermi se lei fosse cambiata un po’, se i suoi capelli fossero ancora rossi / I suoi avevano detto che la nostra vita insieme sarebbe stata di sicuro dura / Non apprezzarono mai il vestito fatto in casa di mamma / Il conto in banca di papà non era abbastanza grande / E io me ne stavo sul ciglio della strada, con la pioggia che mi cadeva sulle scarpe / Diretto verso la Costa Orientale, Dio sa se ho pagato qualche debito lungo il tragitto / Invischiato nella malinconia”.
E poi ancora l’incontro fortuito con la ragazza dai capelli rossi, sempre che sia davvero lei, e un passaggio in cui Dylan si appiglia addirittura alla poesia italiana del Duecento per definire i suoi sentimenti: “Poi lei aprì un libro di poesie e me lo passò / Era stato scritto da un poeta italiano del tredicesimo secolo / E ognuna di quelle parole suonava vera, e bruciava come carboni ardenti / Traboccando da ogni pagina come fosse scritta nella mia anima da me a te”. Su questo passaggio, una volta Bono ha scritto: “Dylan parla del poeta italiano i cui versi escono dalle pagine come carboni ardenti. E ad un certo punto ti rendi conto – ovviamente! – che questo poeta Italiano è Dante. Ogni parola che Dante ha scritto era per la sua musa, Beatrice, e c’è una Beatrice nella maggior parte delle canzoni di Bob Dylan”.
La sua musa per eccellenza, sua moglie, sembra irrimediabilmente perduta, è “una ragazza grande adesso” (You’re a Big Girl Now), e il mix tra accordi malinconici al massimo grado e un testo quasi imbarazzante nella sua sincerità di uomo sconfitto creano qualcosa tra il patetico e il commovente: “Un uccello all’orizzonte, appoggiato su uno steccato / Canta la sua canzone per me a sue esclusive spese / E io sono proprio come quell’uccello: canto solo per te / Spero potrai sentirmi, sentirmi cantare tra queste lacrime”.
In Blood On the Tracks, però, la delusione per l’amore perduto non prende una sola forma, ma attraversa tutte le fasi della perdita, e così dalla malinconia assoluta e dal ricordo dello “scherzo del destino” che ha fatto andare tutto storto (Simple Twist Of Fate) si passa alla rabbia più feroce, quel sentimento che tante volte in Dylan gli ha fatto produrre i suoi testi migliori, vedi Like a Rolling Stone dieci anni prima.
Idiot Wind è questo, una delle più feroci invettive mai trasposte in musica, il grido rabbioso di un uomo che non sente più ragioni, e dopo aver elencato tutte le pene vissute per colpa della sua ex compagna (“Non capirai mai la pena che ho sofferto né il dolore che ho superato / E io non saprò mai le stesse cose di te, della tua santità o della tua sorta d’amore / E mi fa sentire così afflitto”) arriva addirittura ad augurarle la morte (“Un giorno finirai nella fossa, con le mosche che ti ronzeranno attorno agli occhi / Sangue sulla tua sella”) e a darle dell’idiota (“Vento idiota, che soffia tra i fiori sulla tua tomba / Che soffia tra le tende della tua stanza / Vento idiota, che soffia ogni volta che muovi i denti / Sei un’ idiota, piccola, c’è da stupirsi che sai ancora respirare”). Per fortuna di Dylan il #metoo era ancora di là da venire.
Ma la rabbia passa, c’è un nuovo amore passeggero, meno impegnativo, ed è quello di You’re Gonna Make Me Lonesome When You Go (“Le situazioni sono finite male, le relazioni sono state tutte brutte / Le mie sono state come quella tra Verlaine e Rimbaud / Ma non posso certo fare il paragone tra tutte quelle storie e quest’amore / Mi farai sentire solo quando te ne andrai”).
E poi c’è l’accettazione, in If You See Her, Say Hello (ripresa anche da Francesco De Gregori con una bella traduzione quasi letterale, Non dirle che non è così), in cui immagina il suo amore lontano, chissà dove, magari a Tangeri, e come aveva fatto anni prima rivolto alla “girl from the North country” si raccomanda in un moto d’orgoglio o di pudore: “Potrebbe pensare che l’ho dimenticata: non dirle che non è così”.
A conclusione di tutto questo percorso interiore, e dopo nove canzoni di rara bellezza, c’è Shelter From the Storm, ed è una conclusione in cui dell’amore perduto rimane la gratitudine, il ringraziamento umile di chi è stato salvato dalla forza trasformatrice di una relazione: “Io ero sfinito dalla spossatezza, sepolto dalla grandine / Avvelenato nelle siepi e stordito sul sentiero / Cacciato come un coccodrillo, devastato in mezzo al grano / ‘Entra’, disse lei, ‘Ti darò riparo dalla tempesta’”.
Qui Dylan firma uno dei suoi capolavori inventando un mondo a metà tra Fellini e il Bergman del Settimo Sigillo, una sorta di villaggio dei dannati, una desolation row in cui non solo il protagonista, ma tutti avrebbero bisogno di essere redenti da un amore: “Il delegato cammina su chiodi duri e il predicatore scala una montagna / Ma niente mi importa più di tanto, è solo il destino che conta / E il becchino guercio, suona un futile corno / ‘Entra’, disse lei, ‘Ti darò riparo dalla tempesta’”.
Blood on the Tracks, ascoltato anche a quarant’anni di distanza si conferma una delle più sincere espressioni artistiche sul tema dell’amore perduto, un vero e proprio viaggio nella devastazione interiore di un uomo. Il fatto che quell’uomo sia Bob Dylan, e che sia stato in grado di mettere in musica e parole quella devastazione interiore invece di vivere da solo la sua sofferenza, è un dono per tutti noi.
More Blood, More Tracks, la raccolta di tutte le canzoni incise durante la lavorazione del disco, è disponibile dal 2 novembre.
Approfondimenti:
INVISCHIATO NELLA MALINCONIA (TANGLED UP IN BLUE)
Una mattina presto il sole splendeva
Io me ne stavo sdraiato a letto
A chiedermi se lei fosse cambiata un po’
Se i suoi capelli fossero ancora rossi
I suoi avevano detto che la nostra vita insieme
Sarebbe stata di sicuro dura
Non apprezzarono mai il vestito fatto in casa di mamma
Il conto in banca di papà non era abbastanza grande
E io me ne stavo sul ciglio della strada
Con la pioggia che mi cadeva sulle scarpe
Diretto verso la Costa Orientale
Dio sa che ho pagato qualche debito lungo il tragitto
Invischiato nella malinconia
Lei era sposata quando ci incontrammo la prima volta
In procinto di divorziare
La tirai fuori da una situazionaccia, credo
Ma usai un po’ troppa forza
Guidammo quella macchina il più lontano possibile
L’abbandonammo ad Ovest
Ci lasciammo in una notte triste e scura
Entrambi d’accordo che fosse la cosa migliore
Lei si voltò per guardarmi
Mentre io mi allontanavo
La sentii dire alle mie spalle
“Ci incontreremo ancora un giorno, per la strada”
Invischiato nella malinconia
Avevo un lavoro nei grandi boschi del Nord
Per un po’ feci il cuoco
Ma non mi piacque mai più di tanto
E un giorno arrivò il licenziamento in tronco
Così mi misi in viaggio per New Orleans
Dove mi capitò di venire assunto
Su un battello da pesca per un po’
Giusto fuori Delacroix
Ma per tutto il periodo in cui fui solo
Il passato era appena dietro le spalle
Ho visto un sacco di donne
Ma lei non mi è mai uscita dalla testa, e io sono cresciuto
Invischiato nella malinconia
Lei lavorava in un topless bar
E io mi fermai lì per una birra
Continuavo a guardare il suo profilo
Così chiaro sotto il riflettore
E più tardi mentre la clientela si diradava
E io stavo per fare lo stesso
Ecco che lei era lì dietro la mia sedia
Mi disse “Non ci conosciamo?”
Io biascicai qualcosa tra i denti
Lei studiò i miei lineamenti
Devo ammettere che mi sentii un po’ a disagio
Quando lei si chinò per allacciarmi la scarpa
Invischiato nella malinconia
Accese un braciere sulla stufa e mi offrì una pipa
“Pensavo non avresti mai detto ciao”, disse
“Dai l’idea di uno taciturno”
Poi aprì un libro di poesie e me lo passò
Era scritto da un poeta italiano
Del tredicesimo secolo
E ognuna di quelle parole suonava vera
E bruciava come carboni ardenti
Traboccando da ogni pagina
Come fosse scritta nella mia anima da me a te
Invischiato nella malinconia
Vivevo con loro in Montague Street
In un seminterrato sotto le scale
C’era musica nei caffè di notte
E rivoluzione nell’aria
Poi lui iniziò a trafficare in schiavi
E qualcosa morì dentro di lui
Lei dovette vendere tutto ciò che possedeva
E gelò dentro
E quando alla fine si toccò il fondo
Io diventai asociale
L’unica cosa che sapevo fare
Era continuare a tirare avanti come un uccello in volo
Invischiato nella malinconia
Così adesso sto ritornando un’altra volta
Devo arrivare da lei in qualche modo
Tutte le persone che conoscevamo allora
Sono un’illusione per me adesso
Alcuni sono matematici
Altre sono mogli di carpentieri
Non so come sia iniziato tutto
Non so cosa fanno delle loro vite
Ma io, io sono ancora sulla strada
Diretto verso un’altra bettola
Abbiamo sempre provato le stesse cose
La vedevamo soltanto da diversi punti di vista
Invischiato nella malinconia
VENTO IDIOTA (IDIOT WIND)
Qualcuno ce l’ha con me, stanno inventando storie sui giornali
Chiunque sia, spero che la pianti, ma quando lo farà posso solo immaginarlo
Dicono che ho sparato a un uomo di nome Gray e portato sua moglie in Italia
Lei ha ereditato un milione di verdoni e quando è morta sono andati a me
Che posso farci se sono fortunato?
La gente mi vede di continuo e non si ricorda proprio come comportarsi
Le loro teste sono piene di grandi idee, immagini e fatti distorti
Perfino tu, ieri, mi hai dovuto chiedere come stavano le cose
Non potevo crederci, dopo tutti questi anni non mi conoscevi meglio di allora
Dolce signora
Vento idiota, che soffia ogni volta che muovi la bocca
Che soffia sulle strade secondarie verso sud
Vento idiota, che soffia ogni volta che muovi i denti
Sei un’ idiota, piccola
C’è da stupirsi che sai ancora respirare
Sono corso dalla chiromante, che ha detto “attento ai lampi, potrebbero colpire”
Per così tanto tempo non ho conosciuto pace né quiete che non mi ricordo com’era
C’è un soldato solitario all’incrocio, il fumo esce dalla porta di un carro merci
Non lo sapevi, non credevi che potesse succedere, alla fine lui ha vinto la guerra
Dopo aver perso ogni battaglia
Mi sono svegliato sul bordo della strada, sognando a occhi aperti della maniera in cui vanno le cose a volte
Visioni della tua cavalla saura mi scorrono nella testa e mi fanno vedere le stelle
Tu fai male a coloro che io amo di più e celi la verità dietro alle bugie
Un giorno finirai nella fossa, con le mosche che ti ronzeranno attorno agli occhi
Sangue sulla tua sella
Vento idiota, che soffia tra i fiori sulla tua tomba
Che soffia tra le tende della tua stanza
Vento idiota, che soffia ogni volta che muovi i denti
Sei un’ idiota, piccola
C’è da stupirsi che sai ancora respirare
Fu la gravità che ci spinse giù e il destino che ci allontanò
Tu hai ammansito il leone nella mia gabbia ma non era abbastanza per cambiare il mio cuore
Ora tutto è un po’ sottosopra, di fatto le ruote si sono fermate
Ciò che è male è bene, ciò che è bene è male, scoprirai che quando avrai raggiunto l’apice
Sei sul fondo
L’ho notato alla cerimonia, i tuoi modi corrotti alla fine ti hanno resa cieca
Non riesco più a ricordarmi la tua faccia, la tua bocca è cambiata,
I tuoi occhi non guardano nei miei
Il prete si è vestito di nero al settimo giorno e si è seduto con il volto impietrito
Mentre l’edificio bruciava
Ti ho aspettato sui predellini, vicino agli alberi di cipresso, mentre la primavera si tramutava lentamente in autunno
Vento idiota, che soffia come un cerchio attorno al mio cranio
Dalla Grande Gola della Diga al Campidoglio
Vento idiota, che soffia ogni volta che muovi i denti
Sei un’ idiota, piccola
C’è da stupirsi che sai ancora respirare
Non riesco più a sentire la tua presenza, non riesco nemmeno a toccare i libri che hai letto
Ogni volta che striscio accanto alla tua porta, desidero di essere qualcun’ altro
Sull’autostrada, sui binari, sulla via per l’estasi
Ti ho seguita sotto le stelle, perseguitato dal tuo ricordo
E da tutta la tua furiosa gloria
Sono stato ingannato davvero per l’ultima volta e adesso finalmente sono libero
Ho detto addio con un bacio alla belva sulla linea di confine che mi separava da te
Non capirai mai la pena che ho sofferto né il dolore che ho superato
E io non saprò mai le stesse cose di te, della tua santità o della tua sorta d’amore
E mi fa sentire così afflitto
Vento idiota, che soffia tra i bottoni dei nostri cappotti
Che soffia tra le lettere che abbiamo scritto
Vento idiota, che soffia tra la polvere sui nostri scaffali
Siamo degli idioti, piccola
C’è da stupirsi che sappiamo perfino mangiare da soli
RIPARO DALLA TEMPESTA (SHELTER FROM THE STORM)
Era in un’altra vita, una vita di sangue e duro lavoro
Quando essere neri era una virtù e la strada era piena di fango
Io entrai venendo da una distesa desolata: una creatura priva di forma
“Entra”, disse lei
“Ti darò riparo dalla tempesta”
E se ripasserò di qui, puoi stare tranquillo
Farò sempre del mio meglio per lei, do la mia parola
In un mondo di morte dagli occhi d’acciaio e uomini che combattono per stare al caldo
“Entra”, disse lei
“Ti darò riparo dalla tempesta”
Non fu detta una parola tra di noi, non c’erano troppi rischi
Ogni cosa fino a quel punto fu lasciata irrisolta
Prova ad immaginare un posto dove si è sempre al caldo e al sicuro
“Entra”, disse lei
“Ti darò riparo dalla tempesta”
Io ero bruciato dalla spossatezza, sepolto dalla grandine
Avvelenato nelle siepi e stordito sul sentiero
Cacciato come un coccodrillo, saccheggiato in mezzo al grano
“Entra”, disse lei
“Ti darò riparo dalla tempesta”
Improvvisamente mi voltai e lei era lì
Con braccialetti d’argento ai polsi e fiori nei capelli
Venne verso di me in modo così leggiadro e prese la mia corona di spine
“Entra”, disse lei
“Ti darò riparo dalla tempesta”
Ora c’è un muro tra di noi, qualcosa si è perso
Io dato troppe cose per scontato, ho fatto male i miei conti
Se solo penso che è iniziato tutto in un mattino dimenticato da tempo
“Entra”, disse lei
“Ti darò riparo dalla tempesta”
Il delegato cammina su chiodi duri e il predicatore scala una montagna
Ma niente mi importa più di tanto, è solo il destino che conta
E il becchino guercio, suona un futile corno
“Entra”, disse lei
“Ti darò riparo dalla tempesta”
Ho sentito bambini neonati vagire come una tortora luttuosa
E vecchi con i denti rotti ormai alla deriva senza amore
Ho capito la tua domanda, amico, siamo senza speranza e disperati?
“Entra”, disse lei
“Ti darò riparo dalla tempesta”
Su un piccolo villaggio in cima a una collina si giocavano i miei vestiti
Ho patteggiato per la salvezza e mi hanno dato una dose letale
Ho offerto la mia innocenza e sono stato ripagato con il disdegno
“Entra”, disse lei
“Ti darò riparo dalla tempesta”
Ora vivo in un paese straniero ma sto per passare il confine
La bellezza cammina sul filo del rasoio, un giorno la farò mia
Se solo potessi far ritornare l’orologio a quando Dio e lei sono nati
“Entra”, disse lei
“Ti darò riparo dalla tempesta”