Mi consigli un film? – Vol. 14

Consigli per tutti e anche qualche film decisamente sconsigliato, così da evitare rischi.

All’interno: La doppia vita di Veronica, 8 ½, Baby Driver – Il genio della fuga, L’assassino ti siede accanto, La notte brava del soldato Jonathan.

Via al volume 14! (qui l’archivio con tutti gli altri volumi, e qui tutti i film in ordine alfabetico)

La doppia vita di Veronica (La double vie de Véronique)

Krzysztof Kieślowski, 1991

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Preso da un’irrefrenabile voglia di cinema polacco, ho passato diversi degli ultimi giorni a capofitto nella filmografia di Kieślowski, dividendomi tra ritorni su film già visti e prime visioni come in questo caso.

Nella carriera del regista, La doppia vita di Veronica si colloca come film di passaggio tra due “opere multiple” come il celebre Decalogo (1989), realizzato in dieci parti per la tv polacca, e la Trilogia dei Colori (Film Blu, Film Bianco e Film Rosso, 1993-’94, alla quale ho dedicato un articolo più approfondito qui).

Tra le atmosfere grigie, dure e spesso senza speranza del Decalogo e il lirismo più sentimentale (senza essere smielato) e “caldo” della trilogia, Veronica è più vicino al secondo, e non a caso condivide con Rosso la protagonista, un’ugualmente indimenticabile Irène Jacob, qui al suo primo ruolo da protagonista.

Raccontare la trama del film significherebbe togliere un po’ del mistero che è l’anima del film, ma si può dire che, come da titolo, Jacob si sdoppia in due personaggi apparentemente identici ma nondimeno diversi, che sembrano uniti da un filo magico come si dice capiti ai gemelli.

Ambientato tra Varsavia e Parigi, con l’attrice che in un tour de force recita sia in polacco che in francese, La doppia vita di Veronica porta con sé l’abituale senso di sospensione, di grazia e mistero che è il trademark del regista, ma questa volta le atmosfere eteree sono l’unica cosa, mancando una trama che le sorregga e equilibri il reale e il mistico. Un po’ come il Lynch degli ultimi anni, manca insomma quel freno a mano che eviti alla fantasia e all’onirico di sovrastare il racconto.

Restano un’Irène Jacob di cui innamorarsi a vita (che sembra quasi anticipare vagamente l’Amélie di Audrey Tautou), e il dispiacere nel pensare che inizialmente la parte del coprotagonista maschile doveva andare a Nanni Moretti, poi impossibilitato a partecipare per motivi di salute.

8 ½

Federico Fellini, 1963

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Che altro dire di 8 ½? Presente da decenni nelle classifiche mondiali dei film più belli di sempre, e continuamente citato da ogni regista che si rispetti, da Woody Allen (Stardust Memories) a Bob Fosse (All That Jazz), nonché spunto per documentari (L’ultima sequenza, 2003) e musical (Nine, 2009), questo film è probabilmente il miglior biglietto di presentazione di chi voglia capire cosa voglia dire “felliniano”.

La storia è sulla carta più semplice che mai: un regista di successo, Guido Anselmi, sta preparando un film di cui lui stesso non conosce la trama perché in piena crisi d’ispirazione, e mentre cerca di ritrovare le forze in una località termale, è circondato da una miriade di personaggi tra produttori, attori, maestranze, amici, moglie e amante.

Si può dire che, in concreto, la trama non abbia alcuna reale progressione, perché l’arte di Fellini sta nel rendere questa spa un luogo a metà tra il reale e il fantastico, in cui oltre agli incontri reali, Guido è al centro di ricordi d’infanzia, sogni e fantasie, che si intersecano perfettamente in un valzer che ci porta dentro la sua mente, tra dubbi artistici e personali. Per la buona riuscita di questo cocktail, vanno citate quantomeno la fotografia contrastata di Gianni Di Venanzio, la musica di Nino Rota e l’interpretazione di Mastroianni, che riesce ad essere credibile e contemporaneamente sfornare uno dei look più iconici di sempre, vero e proprio simbolo del cool europeo anni Sessanta.

Volendo cercare di non allinearsi a tutti i costi alle lodi sperticate, si può provare a dire che tagliare qualche minuto nel pre-finale non avrebbe fatto male, perché nella seconda parte il film diventa un po’ troppo insistente, e che in generale è talmente Fellini-centrico (anche e soprattutto nel suo mettere in piazza la propria vita sentimentale e un certo sessismo) che alla lunga si rischia un’indigestione di autobiografismo autoreferenziale a discapito di una storia vera e propria.

Ma d’altronde sono difetti accettabili in un film che nel ’63 era pura avanguardia, e che in due ore è riuscito, come pochi altri film di una ristretta cerchia di visionari in quegli anni formidabili, a riportare l’Europa al centro del mondo e a far capire dove poteva spingersi il cinema d’autore.

Baby Driver – Il genio della fuga (Baby Driver)

Edgar Wright, 2017

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Quando questo film uscì nei cinema, se ne fece un gran parlare come un raro esempio di film “di rapine” contemporaneo che sapesse aggiornare il genere con uno stile particolarmente spumeggiante e ggiovane.

E’ indubbio che l’attenzione allo stile ci sia, e vale per il montaggio come per la colonna sonora vintage d’impronta tarantiniana (pressoché onnipresente), ma guardandolo ho avuto l’impressione di un film talmente concentrato sullo sprizzare stile da tutti i pori da dimenticarsi del resto.

La storia vede il protagonista poco più che adolescente Baby che, per appianare uno sgarbo al boss del crimine Kevin Spacey (in una delle sue ultime apparizioni prima che l’ascia del #metoo si abbattesse su di lui e il suo nome diventasse una bestemmia), lavora come autista spericolato per diverse rapine.

Ovviamente le cose non possono filare sempre lisce, e quindi ci sono complici inaffidabili, tradimenti, sparatorie e la necessità di mettersi in fuga insieme a una cameriera per sfuggire a polizia ed ex compari.

I personaggi però sono dei fumettoni che si prendono fin troppo sul serio, e un po’ come nel peggior Tarantino non c’è mai equilibrio tra sentimenti reali di tensione o empatia e duelli in cui i cattivi sembrano invulnerabili in stile Wile E. Coyote. A quel punto, meglio puntare sull’intrattenimento puro senza sensi di colpa.

L’assassino ti siede accanto (Friday the 13th Part II)

Steve Miner, 1981

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A dispetto del titolo italiano, si tratta del secondo capitolo della saga di Venerdì 13, inaugurata l’anno precedente, e che verrà talmente poco presa in considerazione dai distributori italiani che non solo in questo sequel il titolo non ha legami col precedente, ma anche il capitolo III si intitolerà solo Week-end di terrore.

Non è l’unica anomalia, perché se c’è una cosa per la quale questa saga horror è rimasta nell’immaginario è il suo cattivone Jason Voorhees, che in qualche modo si staglia nella Santa Trinità dei villain dell’horror anni Ottanta insieme al Freddy Krueger di Nightmare e al Mike Myers di Halloween, e che sappiamo essere abbigliato con una maschera da hockey. Bene, la notevole sorpresa è che nel primo film Jason veniva appena citato e non era l’assassino, mentre qui finalmente compare e uccide… ma non ha nessuna maschera da hockey, limitandosi a non essere inquadrato in volto o a coprirsi con un sacco.

Per il resto, il film è la fotocopia esatta del primo, con un gruppo di aitanti giovincelli che vengono falcidiati mentre soggiornano in un camping, e come per il primo film, è il grado zero dell’horror: nessuna psicologia, nessuna motivazione, nessun turbamento profondo, nessun intreccio, nessun colpo di scena, nessun’empatia per i personaggi, che muoiono come mosche senza particolare dispiacere. E’ un puro videogioco di “ammazza il teenager in campeggio”, prodotto probabilmente col solo intento di favorire il petting tra spettatori adolescenti nei drive in di provincia. Non mi aspettavo niente di più, quindi non mi lamento, però già da qui a Scream (che da questo tipo di horror prendeva le basi) passano chilometri.

La notte brava del soldato Jonathan (The Beguiled)

Don Siegel, 1971

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Vista la ricorrenza dei 90 anni di Eastwood, mi sono imbattuto in quello che è uno dei film più anomali della sua carriera, senza pistoleri né poliziotti e in cui Clint ha modo di esibire un lato di sé raramente visto nella sua carriera action.

Ispirato a un romanzo del 1966 di Thomas P. Cullinan, e rifatto da Sofia Coppola nel 2017 col titolo L’inganno, il film è ambientato durante la Guerra di secessione americana, e vede Eastwood nei panni di un soldato nordista che combatte in territorio nemico. Quando durante una battaglia viene gravemente ferito, ha la dubbia fortuna di essere ritrovato mezzo morto da una bambina del collegio femminile della signora Martha Farnsworth, che insieme ad un’altra educatrice tiene al sicuro una mezza dozzina di fanciulle.

Il problema è che tra le fanciulle in questione ci sono anche liceali incuriosite da un’anomala presenza maschile, e le stesse istitutrici sembrano combattute tra il semplice gesto umanitario di curare il ferito e interessi meno casti.

Il soldato Jonathan (che si chiama in realtà John, per quei misteri inspiegabili degli adattamenti italiani) approfitta forse fin troppo delle molte attenzioni ricevute, e il risultato sarà un’escalation di gelosie, violenza e morbosità che tocca tutte le corde di quel southern gothic tipico del sud rurale e perverso degli States.

Non è particolarmente profondo, ed è tutto giocato su un mix tra la situazione pruriginosa della star maschile circondata da donne in tentazione e scene raccapriccianti di violenza pre-Misery non deve morire, ma come intrattenimento per adulti è godibile, e Clint per una volta si permette di distendere i muscoli del viso e recita benissimo senza sparare a nessuno.

Come sempre, ogni stroncatura di capolavori immortali o apprezzamento di schifezze immonde è pubblicata in piena facoltà di intendere e di volere e non è sottoponibile ad azione penale da parte di cinefili offesi nell’animo.

Alla prossima puntata! (qui l’archivio con tutti gli altri volumi, e qui tutti i film in ordine alfabetico)

5 risposte a "Mi consigli un film? – Vol. 14"

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  1. Niente da aggiungere su 8 1/2, che gli vuoi dire, e niente da aggiungere su Baby Driver, osannato all’inverosimile e che invece è davvero poca roba. Da ragazzini affittavamo i vari Venerdì 13 in videoteca per il solo gusto di fare battute, prendere in giro i personaggi e ridere delle varie uccisioni. The Beguiled della Coppola non è male, non sapevo fosse un remake.

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