Imperdibili

Il divo (2008)
Lโanno รจ il 2008, ed รจ il momento in cui a Cannes, con lโaccoppiata Premio alla regia a Gomorra di Garrone e Gran premio speciale della giuria a questo film, il cinema italiano torna ufficialmente sotto gli occhi del mondo. Difficile infatti immaginare la possibilitร di una star come Sean Penn, quellโanno presidente della giuria, che si presenti da un qualsiasi altro regista nostrano e si dica disponibile a lavorare con lui, come succederร poi in This Must Be the Place.
Difficile anche immaginare che si possa ottenere tanta attenzione internazionale, e paragoni lusinghieri con Scorsese, con un film biografico dedicato nientemeno che a Giulio Andreotti, uno dei personaggi piรน strettamente italiani di sempre e di certo non noto per la vita spericolata.
Servillo si trasforma completamente per interpretare il sette volte presidente del Consiglio, e per quanto la somiglianza fisica sia quasi nulla, il suo Andreotti diventa comunque iconico: metร sceneggiatura di fatto รจ giร scritta grazie ai mille aforismi disseminati dal Divo Giulio durante la sua vita, e il resto รจ farina della capacitร di Sorrentino di rendere rock, inquietanti e surreali anche le trame di palazzo democristiane.
Il film perde un poโ di mordente verso la fine, visto che invece di andare verso una qualche conclusione epica si limita a soffermarsi su un paio dโanni della vita del senatore, ma da molto tempo in Italia non si era piรน visto un film in cui tutto fosse cosรฌ incredibilmente curato e grondante virtuosismo da ogni inquadratura.

Le conseguenze dellโamore (2004)
Al secondo tentativo dietro la macchina da presa, Sorrentino ottiene un posto in concorso a Cannes e una meritata attenzione internazionale per un film che รจ probabilmente il suo massimo esempio di stile glaciale, in cui la forma รจ massimamente importante rispetto alla storia.
Giร dal font dei titoli di testa e dalla prima, lunga inquadratura fissa su un tapis roulant, il film appare da subito fatto di spigoli e asetticitร , come spigoloso e asettico รจ il suo protagonista Titta Di Girolamo, un Toni Servillo impeccabilmente controllato nel ruolo di un uomo pieno di misteri.
ร lo stesso Titta a parlarci come narratore, pur svelando di sรฉ solo poche informazioni alla volta, ma quello che sappiamo รจ che fa parte della โsetta degli insonniโ, che lโunica cosa frivola che possiede รจ il suo nome, e che vive da otto anni da solo in un hotel svizzero, scambiando a malapena qualche parola con gli altri presenti.
Titta era il nome del protagonista di Amarcord di Fellini, e il film si mantiene in equilibrio tra le facce grottesche del regista riminese e gli ambienti ostili e moderni del suo collega Antonioni, fino a che il velo di incomunicabilitร sul volto del protagonista non viene irrimediabilmente toccato dalle โconseguenzeโ del titolo.
Alternanza tra grandi lentezze e momenti di montaggio nervoso, da videoclip; begli aforismi che anticipano le massime di Jep Gambardella (โLa sfortuna non esiste, รจ unโinvenzione dei falliti e dei poveriโ); un Servillo strepitoso e quasi irriconoscibile; e in tutta questa freddezza, un finale tra le nevi che inaspettatamente e memorabilmente colpisce al cuore.

La grande bellezza (2013)
Cosรฌ come il prisma di The Dark Side of the Moon รจ un artefatto culturale noto anche a chi non conosca minimamente la musica dei Pink Floyd, cosรฌ La grande bellezza non รจ solo un film, ma un oggetto immediatamente iconico che ha fatto epoca anche al di lร dei suoi effettivi meriti artistici.
Che dire quindi che non sia stato giร detto? Innanzitutto, che si tratta di uno dei vertici della filmografia di Sorrentino, e non solo di un film celebre, e che probabilmente nessun regista italiano, compresi giganti quali Fellini o Bertolucci, ha mai girato in modo cosรฌ opulento, virtuosistico ed elettrizzante.
Giร dai primissimi minuti, quelli dellโinterminabile festa sulla terrazza con vista Colosseo, si capisce che la scala sarร diversa, che si fa sul serio, e cosรฌ sarร per molte altre scene, spaziando tra il satirico, il sensuale e il malinconico.
Purtroppo non รจ un film perfetto, e quando cade, cade pesantemente, mostrando tutta la tendenza kitsch di Sorrentino a voler gonfiare di poesia e solennitร ciรฒ che poetico e solenne non รจ: la โsantaโ che parla a dei fenicotteri digitali, il cardinale ex esorcista, la giraffa, e quellโโAdesso voglio farti vedere una cosaโ finale che sembra uscito da una soap opera di quarto grado.
Jep Gambardella, il 65enne ex scrittore e ora ricco giornalista interpretato da Toni Servillo nel ruolo che gli rimarrร attaccato a vita, non รจ che una maniera di immaginarsi il Mastroianni de La dolce vita da anziano, e i suoi vagabondaggi frivoli come osservatore e partecipante della mondanitร romana ne sono la riproposizione a colori.
Allo stesso modo, la struttura episodica del film, con i personaggi di contorno che vanno e vengono (tra cui un Verdone reinventato come nessuno aveva avuto il coraggio o lโinventiva di fare prima), รจ la stessa, e cosรฌ come nel film di Fellini, dopo un paio dโore perde di energia.
Dunque sรฌ, niente di nuovo, ma รจ cosรฌ sacrilego affermare che la copia sia venuta perfino meglio dellโoriginale? Quantomeno per una generazione, La grande bellezza รจ stato semplicemente lโevento cinematografico italiano del loro tempo, e non รจ un caso che abbia vinto lโOscar cosรฌ come il Benigni de La vita รจ bella quindici anni prima: nonostante i suoi molti difetti, quando i violini accompagnano le principesse tra i loro antichi palazzi, lโemozione รจ sempre la stessa.
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Non per tutti i gusti

Lโuomo in piรน (2001)
Sorrentino ha 31 anni quando esordisce nel lungometraggio con questo film, e da subito si capisce che non si tratta di un regista italiano qualunque, di quelli che troppe volte contribuiscono a far sรฌ che la nostra cinematografia trasudi medietร e mancanza di coraggio. Certo, non cโรจ ancora il riconoscibilissimo stilista dellโimmagine che si vedrร in seguito, vista anche la maggiore povertร dei mezzi a disposizione, ma lโambizione sembra giร quella di chi ha le idee chiare.
La trama segue le storie parallele di due uomini che, pur non conoscendosi, condividono lo stesso nome, Antonio Pisapia, nella Napoli degli anni Ottanta: uno (Andrea Renzi, eccellente e con accento ternano) รจ un ex calciatore che senza successo sogna di diventare allenatore; lโaltro (un Toni Servillo che finalmente si fa notare) un cantante fallito da nightclub a metร tra Franco Califano e il De Niro imbolsito di Toro scatenato.
Sorrentino cita Scorsese e il suo sottobosco di uomini perduti, e anticipa il suo gusto per gli ipocriti ambienti mondani, ma rispetto alla freddezza futura nel descrivere lo squallore del cafonal, qui cโรจ anche un umanesimo sincero nel seguire la vicenda di due uomini scesi dalle stelle alle stalle.
Un personaggio dice al Pisapia calciatore che โil calcio รจ un gioco, e tu sei un uomo fondamentalmente tristeโ, e lโaccusa ai frivoli รจ giร tutta lรฌ, ma quando Servillo riassume la morale del film con la massima: โโa vita รจ โna strunzataโ, ci si rende conto che in quanto a profonditร della riflessione non siamo proprio dalle parti di Goethe e dintorni.

This Must Be the Place (2011)
Sean Penn รจ Cheyenne, unโex rockstar di mezza etร che ancora oggi appare come ai tempi dโoro, tra capigliatura, mascara e rossetto da Robert Smith dei Cure, voce in stile Truman Capote e un modo apatico di relazionarsi con gli altri alla Ozzy Osbourne.
Quando, dopo cinquanta minuti troppo lunghi, il padre di Cheyenne muore, per lui รจ lโoccasione per scoprire un segreto che ha a che fare con un ex carceriere nazista, il che dร il via a un viaggio on the road in solitaria attraverso gli Stati Uniti.
Dopo Il divo, Sorrentino รจ un nome ormai noto in Italia e allโestero, e per il suo ritorno in grande stile (budget enorme, star internazionali, ambientazione americana) gira un film in cui si cristallizzano tutti i tratti del suo stile, che perรฒ qui si mostra piรน nei difetti che nei pregi.
Se Il divo e Le conseguenze dellโamore erano infatti dei trattati di glacialitร cinematografica, decisamente cerebrali e distaccati come i loro protagonisti, qui lโapproccio, pur alla maniera sorrentiniana, sembra essere quello di uno Spielberg o di un Disney, con molto spazio per una storia edificante e massime commoventi sulla vita.
Non stupisce che i riferimenti piรน diretti sembrino essere Una storia vera di Lynch (anche lรฌ una traversata lenta e fatta di incontri) e i film innamorati dei grandi spazi di Wim Wenders, ma se un ralenti con una canzone malinconica in sottofondo รจ bello, venti ralenti malinconici sono solo maniera, senza contare che la caccia ai nazisti sembra quanto di piรน hollywoodiano si possa immaginare.
A dimostrazione di questi estremi, pezzo da maestro quello in cui David Byrne, idolo di Sorrentino ed ex leader dei Talking Heads, suona la canzone che dร il titolo al film in un live strepitoso, mentre รจ puro cringe quello in cui รจ un ragazzino paffuto a replicarla malissimo.

Loro (2018)
Un progetto ambiziosissimo sia nella forma che nella sostanza: uscito in due parti a distanza di quindici giorni lโuna dallโaltra (una cosa che si era vista giusto con Novecento o Kill Bill), Loro รจ il film in cui Sorrentino tenta di rappresentare la figura italiana piรน nota e divisiva degli ultimi trentโanni: Silvio Berlusconi.
Sfida non semplice, visto che anche Nanni Moretti ci si era provato senza troppo successo con Il caimano qualche anno prima (curiosamente, lรฌ Sorrentino aveva un piccolo ruolo), e visto che, a differenza delle gesta di Andreotti, le vicende di Berlusconi sono ancora piรน vicine alla cronaca che alla storia.
Non si tratta perรฒ di un biopic in senso stretto, ma di un film dedicato solo a quella che in fondo รจ la parte piรน โsorrentinianaโ della vita dellโex presidente del Consiglio, ovvero il periodo degli anni Duemila in cui nelle sue ville si consumavano i festini noti come bunga bunga, coinvolgendo tutto quel sottobosco di ruffiani e aspiranti starlette che non avrebbero sfigurato come comparse ne La grande bellezza.
La prima parte รจ in realtร tutta dedicata a โloroโ, gli arrampicatori e le arrampicatrici pronti a tutto per arrivare a โLoroโ, โquelli che contanoโ, e come organizzatori di feste desiderosi di notorietร , Riccardo Scamarcio e Euridice Axen se la cavano molto bene. Per il resto, la prima ora e mezzo รจ un tripudio di corpi femminili, in un film che sembra adeguarsi ai suoi personaggi nel non indietreggiare mai davanti al sesso e alla volgaritร .
Orgiastico come il Fellini piรน a briglia sciolta o come lo Scorsese di The Wolf of Wall Street, Loro 1 รจ un poโ il contrario di Youth: lรฌ la saggezza dellโanzianitร , qui lโarroganza incosciente della gioventรน, lรฌ le pause mistiche, qui il montaggio serratissimo. Poi perรฒ, entra in scena Lui: un Toni Servillo con la faccia di plastica e lโaccento milanese perfino quando canta Malafemmena, protagonista di scene brechtiane in cui dialoga con se stesso oppure chiama una sconosciuta per mettere alla prova il suo notorio talento da venditore.
Tra un dialogo e un monologo, Sorrentino infila tutte le peggiori accuse possibili al Berlusconi reale e alla sua corte di leccapiedi, ma qui manca lo stile del Divo, e la gogna finisce per risultare didascalica, per quanto coraggiosa. Le cose migliori del film probabilmente sono proprio le parti piรน parodiche, quelle in cui si sbertucciano la vuotezza della filosofia berlusconiana e la sua estetica trash, tra balletti di veline e film tv sulla โgiovane Montalciniโ, e un finale inaspettato che fa da contrasto a tutto quanto si รจ visto fino ad allora.
Per il resto, un film sicuramente interessante ma decisamente dispersivo, piรน riuscito come gesto di denuncia sociale (non รจ un caso che sia dedicato a Francesco Rosi) che come oggetto cinematografico.
Per completisti

Lโamico di famiglia (2006)
Al suo terzo film, e fresco delle critiche positive a Le conseguenze dellโamore, il regista napoletano non punta certo su un ritorno che accontenti tutti: al contrario, Lโamico di famiglia รจ quanto di piรน volutamente sgradevole e respingente abbia fatto finora.
A dare questa impressione รจ lo stesso protagonista, Geremia โCuore dโoroโ de’ Geremei (lo straordinario, seppur poco noto, caratterista Giacomo Rizzo), un uomo che a una notevole bruttezza fisica unisce non solo dei modi viscidi e untuosi, ma anche il vizio morale del mestiere di usuraio.
Questo Shylock dai capelli tinti vive e lavora nellโarea di Latina (anche questa unโambientazione anomala), e la sua vita fatta di prestiti e minacce prende una piega diversa nel momento in cui si trova ad essere creditore del padre di Miss Agro Pontino (Laura Chiatti), una ragazza che rappresenta tutto ciรฒ che (forse) lui non potrร mai avere.
Musiche di Teho Teardo con comparsate in colonna sonora di Antony and the Johnsons, lunghe panoramiche al ralenti su situazioni ordinarie rese mistiche, momenti di surrealtร tra Fellini e Lynch, uno strano mix tra lโeleganza formale della regia e lo squallido realismo del contesto, tra orchi, case malamente arredate e miserie di provincia.
Il film, perรฒ, in fondo รจ un passo indietro per il regista, che sceglie la via di un cinema indipendente e per pochi, distaccato e crudele, piรน da rispettare che da amare, nonostante l’autore abbia le doti per parlare a molti.

Youth – La giovinezza (2015)
Non sarebbe stato facile per nessuno tornare dietro la macchina da presa dopo il successo mondiale de La grande bellezza, e Sorrentino pensรฒ bene che, se proprio bisognava farlo, tanto valeva gratificarsi con un cast da sogno che nessun italiano si sarebbe mai potuto permettere prima.
Sir Michael Caine, che sprizza leggenda da ogni poro a ottantโanni suonati, รจ Fred, un ex compositore e direttore dโorchestra in vacanza sui monti svizzeri, dove si concede relax, aria buona e cure termali. Con lui cโรจ il consuocero Mick (Harvey Keitel, e siamo a due leggende), un anziano regista impegnato a scrivere un nuovo film, che si intrattiene col vecchio amico tra ricordi giovanili e riflessioni sulla terza etร .
Se La grande bellezza si rifaceva a La dolce vita, in questo caso a partire dallโambientazione termale il riferimento felliniano รจ 8 ยฝ, cosรฌ come sono (troppo) felliniane le apparizioni oniriche di figure del passato, e le facce anomale degli altri ospiti, tra cui un Maradona obeso interpretato da un sosia.
Per quanto i duetti attoriali tra Caine e Keitel siano impagabili, e per quanto alla loro bravura vada aggiunta quella di altre star come Jane Fonda, Rachel Weisz e Paul Dano, lโodore di melenso, lirico, edificante e inutilmente solenne pervade ogni scena, tra coretti mistici a cappella ormai onnipresenti e citazioni da Novalis totalmente inverosimili nella realtร .
Sicuramente un passo indietro, in cui le troppe velleitร filosofiche ed estetiche non vengono bilanciate come nel film precedente da una necessaria ironia.
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Eccellente come sempre, unico appunto per quel che mi riguarda: avrei messo “Youth” un gradino piรน in alto, per il resto ci siamo. L’ultimo mio pensiero sarร per voi (cit)
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Troppo buono! Sรฌ, in effetti non รจ stato facile assegnare le “categorie” questa volta, ma sottolineo che all’interno delle varie fasce i film sono in ordine sparso ๐
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