Guida galattica al cinema di Paolo Sorrentino

Imperdibili

Il divo (2008)

Lโ€™anno รจ il 2008, ed รจ il momento in cui a Cannes, con lโ€™accoppiata Premio alla regia a Gomorra di Garrone e Gran premio speciale della giuria a questo film, il cinema italiano torna ufficialmente sotto gli occhi del mondo. Difficile infatti immaginare la possibilitร  di una star come Sean Penn, quellโ€™anno presidente della giuria, che si presenti da un qualsiasi altro regista nostrano e si dica disponibile a lavorare con lui, come succederร  poi in This Must Be the Place.

Difficile anche immaginare che si possa ottenere tanta attenzione internazionale, e paragoni lusinghieri con Scorsese, con un film biografico dedicato nientemeno che a Giulio Andreotti, uno dei personaggi piรน strettamente italiani di sempre e di certo non noto per la vita spericolata.

Servillo si trasforma completamente per interpretare il sette volte presidente del Consiglio, e per quanto la somiglianza fisica sia quasi nulla, il suo Andreotti diventa comunque iconico: metร  sceneggiatura di fatto รจ giร  scritta grazie ai mille aforismi disseminati dal Divo Giulio durante la sua vita, e il resto รจ farina della capacitร  di Sorrentino di rendere rock, inquietanti e surreali anche le trame di palazzo democristiane.

Il film perde un poโ€™ di mordente verso la fine, visto che invece di andare verso una qualche conclusione epica si limita a soffermarsi su un paio dโ€™anni della vita del senatore, ma da molto tempo in Italia non si era piรน visto un film in cui tutto fosse cosรฌ incredibilmente curato e grondante virtuosismo da ogni inquadratura.


Le conseguenze dellโ€™amore (2004)

Al secondo tentativo dietro la macchina da presa, Sorrentino ottiene un posto in concorso a Cannes e una meritata attenzione internazionale per un film che รจ probabilmente il suo massimo esempio di stile glaciale, in cui la forma รจ massimamente importante rispetto alla storia.

Giร  dal font dei titoli di testa e dalla prima, lunga inquadratura fissa su un tapis roulant, il film appare da subito fatto di spigoli e asetticitร , come spigoloso e asettico รจ il suo protagonista Titta Di Girolamo, un Toni Servillo impeccabilmente controllato nel ruolo di un uomo pieno di misteri.

รˆ lo stesso Titta a parlarci come narratore, pur svelando di sรฉ solo poche informazioni alla volta, ma quello che sappiamo รจ che fa parte della โ€œsetta degli insonniโ€, che lโ€™unica cosa frivola che possiede รจ il suo nome, e che vive da otto anni da solo in un hotel svizzero, scambiando a malapena qualche parola con gli altri presenti.

Titta era il nome del protagonista di Amarcord di Fellini, e il film si mantiene in equilibrio tra le facce grottesche del regista riminese e gli ambienti ostili e moderni del suo collega Antonioni, fino a che il velo di incomunicabilitร  sul volto del protagonista non viene irrimediabilmente toccato dalle โ€œconseguenzeโ€ del titolo.

Alternanza tra grandi lentezze e momenti di montaggio nervoso, da videoclip; begli aforismi che anticipano le massime di Jep Gambardella (โ€œLa sfortuna non esiste, รจ unโ€™invenzione dei falliti e dei poveriโ€); un Servillo strepitoso e quasi irriconoscibile; e in tutta questa freddezza, un finale tra le nevi che inaspettatamente e memorabilmente colpisce al cuore.


La grande bellezza (2013)

Cosรฌ come il prisma di The Dark Side of the Moon รจ un artefatto culturale noto anche a chi non conosca minimamente la musica dei Pink Floyd, cosรฌ La grande bellezza non รจ solo un film, ma un oggetto immediatamente iconico che ha fatto epoca anche al di lร  dei suoi effettivi meriti artistici.

Che dire quindi che non sia stato giร  detto? Innanzitutto, che si tratta di uno dei vertici della filmografia di Sorrentino, e non solo di un film celebre, e che probabilmente nessun regista italiano, compresi giganti quali Fellini o Bertolucci, ha mai girato in modo cosรฌ opulento, virtuosistico ed elettrizzante.

Giร  dai primissimi minuti, quelli dellโ€™interminabile festa sulla terrazza con vista Colosseo, si capisce che la scala sarร  diversa, che si fa sul serio, e cosรฌ sarร  per molte altre scene, spaziando tra il satirico, il sensuale e il malinconico.

Purtroppo non รจ un film perfetto, e quando cade, cade pesantemente, mostrando tutta la tendenza kitsch di Sorrentino a voler gonfiare di poesia e solennitร  ciรฒ che poetico e solenne non รจ: la โ€œsantaโ€ che parla a dei fenicotteri digitali, il cardinale ex esorcista, la giraffa, e quellโ€™โ€œAdesso voglio farti vedere una cosaโ€ finale che sembra uscito da una soap opera di quarto grado.

Jep Gambardella, il 65enne ex scrittore e ora ricco giornalista interpretato da Toni Servillo nel ruolo che gli rimarrร  attaccato a vita, non รจ che una maniera di immaginarsi il Mastroianni de La dolce vita da anziano, e i suoi vagabondaggi frivoli come osservatore e partecipante della mondanitร  romana ne sono la riproposizione a colori.

Allo stesso modo, la struttura episodica del film, con i personaggi di contorno che vanno e vengono (tra cui un Verdone reinventato come nessuno aveva avuto il coraggio o lโ€™inventiva di fare prima), รจ la stessa, e cosรฌ come nel film di Fellini, dopo un paio dโ€™ore perde di energia.

Dunque sรฌ, niente di nuovo, ma รจ cosรฌ sacrilego affermare che la copia sia venuta perfino meglio dellโ€™originale? Quantomeno per una generazione, La grande bellezza รจ stato semplicemente lโ€™evento cinematografico italiano del loro tempo, e non รจ un caso che abbia vinto lโ€™Oscar cosรฌ come il Benigni de La vita รจ bella quindici anni prima: nonostante i suoi molti difetti, quando i violini accompagnano le principesse tra i loro antichi palazzi, lโ€™emozione รจ sempre la stessa.


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Non per tutti i gusti

Lโ€™uomo in piรน (2001)

Sorrentino ha 31 anni quando esordisce nel lungometraggio con questo film, e da subito si capisce che non si tratta di un regista italiano qualunque, di quelli che troppe volte contribuiscono a far sรฌ che la nostra cinematografia trasudi medietร  e mancanza di coraggio. Certo, non cโ€™รจ ancora il riconoscibilissimo stilista dellโ€™immagine che si vedrร  in seguito, vista anche la maggiore povertร  dei mezzi a disposizione, ma lโ€™ambizione sembra giร  quella di chi ha le idee chiare.

La trama segue le storie parallele di due uomini che, pur non conoscendosi, condividono lo stesso nome, Antonio Pisapia, nella Napoli degli anni Ottanta: uno (Andrea Renzi, eccellente e con accento ternano) รจ un ex calciatore che senza successo sogna di diventare allenatore; lโ€™altro (un Toni Servillo che finalmente si fa notare) un cantante fallito da nightclub a metร  tra Franco Califano e il De Niro imbolsito di Toro scatenato.

Sorrentino cita Scorsese e il suo sottobosco di uomini perduti, e anticipa il suo gusto per gli ipocriti ambienti mondani, ma rispetto alla freddezza futura nel descrivere lo squallore del cafonal, qui cโ€™รจ anche un umanesimo sincero nel seguire la vicenda di due uomini scesi dalle stelle alle stalle.

Un personaggio dice al Pisapia calciatore che โ€œil calcio รจ un gioco, e tu sei un uomo fondamentalmente tristeโ€, e lโ€™accusa ai frivoli รจ giร  tutta lรฌ, ma quando Servillo riassume la morale del film con la massima: โ€œโ€™a vita รจ โ€˜na strunzataโ€, ci si rende conto che in quanto a profonditร  della riflessione non siamo proprio dalle parti di Goethe e dintorni.


This Must Be the Place (2011)

Sean Penn รจ Cheyenne, unโ€™ex rockstar di mezza etร  che ancora oggi appare come ai tempi dโ€™oro, tra capigliatura, mascara e rossetto da Robert Smith dei Cure, voce in stile Truman Capote e un modo apatico di relazionarsi con gli altri alla Ozzy Osbourne.

Quando, dopo cinquanta minuti troppo lunghi, il padre di Cheyenne muore, per lui รจ lโ€™occasione per scoprire un segreto che ha a che fare con un ex carceriere nazista, il che dร  il via a un viaggio on the road in solitaria attraverso gli Stati Uniti.

Dopo Il divo, Sorrentino รจ un nome ormai noto in Italia e allโ€™estero, e per il suo ritorno in grande stile (budget enorme, star internazionali, ambientazione americana) gira un film in cui si cristallizzano tutti i tratti del suo stile, che perรฒ qui si mostra piรน nei difetti che nei pregi.

Se Il divo e Le conseguenze dellโ€™amore erano infatti dei trattati di glacialitร  cinematografica, decisamente cerebrali e distaccati come i loro protagonisti, qui lโ€™approccio, pur alla maniera sorrentiniana, sembra essere quello di uno Spielberg o di un Disney, con molto spazio per una storia edificante e massime commoventi sulla vita.

Non stupisce che i riferimenti piรน diretti sembrino essere Una storia vera di Lynch (anche lรฌ una traversata lenta e fatta di incontri) e i film innamorati dei grandi spazi di Wim Wenders, ma se un ralenti con una canzone malinconica in sottofondo รจ bello, venti ralenti malinconici sono solo maniera, senza contare che la caccia ai nazisti sembra quanto di piรน hollywoodiano si possa immaginare.

A dimostrazione di questi estremi, pezzo da maestro quello in cui David Byrne, idolo di Sorrentino ed ex leader dei Talking Heads, suona la canzone che dร  il titolo al film in un live strepitoso, mentre รจ puro cringe quello in cui รจ un ragazzino paffuto a replicarla malissimo.


Loro (2018)

Un progetto ambiziosissimo sia nella forma che nella sostanza: uscito in due parti a distanza di quindici giorni lโ€™una dallโ€™altra (una cosa che si era vista giusto con Novecento o Kill Bill), Loro รจ il film in cui Sorrentino tenta di rappresentare la figura italiana piรน nota e divisiva degli ultimi trentโ€™anni: Silvio Berlusconi.

Sfida non semplice, visto che anche Nanni Moretti ci si era provato senza troppo successo con Il caimano qualche anno prima (curiosamente, lรฌ Sorrentino aveva un piccolo ruolo), e visto che, a differenza delle gesta di Andreotti, le vicende di Berlusconi sono ancora piรน vicine alla cronaca che alla storia.

Non si tratta perรฒ di un biopic in senso stretto, ma di un film dedicato solo a quella che in fondo รจ la parte piรน โ€œsorrentinianaโ€ della vita dellโ€™ex presidente del Consiglio, ovvero il periodo degli anni Duemila in cui nelle sue ville si consumavano i festini noti come bunga bunga, coinvolgendo tutto quel sottobosco di ruffiani e aspiranti starlette che non avrebbero sfigurato come comparse ne La grande bellezza.

La prima parte รจ in realtร  tutta dedicata a โ€œloroโ€, gli arrampicatori e le arrampicatrici pronti a tutto per arrivare a โ€œLoroโ€, โ€œquelli che contanoโ€, e come organizzatori di feste desiderosi di notorietร , Riccardo Scamarcio e Euridice Axen se la cavano molto bene. Per il resto, la prima ora e mezzo รจ un tripudio di corpi femminili, in un film che sembra adeguarsi ai suoi personaggi nel non indietreggiare mai davanti al sesso e alla volgaritร .

Orgiastico come il Fellini piรน a briglia sciolta o come lo Scorsese di The Wolf of Wall Street, Loro 1 รจ un poโ€™ il contrario di Youth: lรฌ la saggezza dellโ€™anzianitร , qui lโ€™arroganza incosciente della gioventรน, lรฌ le pause mistiche, qui il montaggio serratissimo. Poi perรฒ, entra in scena Lui: un Toni Servillo con la faccia di plastica e lโ€™accento milanese perfino quando canta Malafemmena, protagonista di scene brechtiane in cui dialoga con se stesso oppure chiama una sconosciuta per mettere alla prova il suo notorio talento da venditore.

Tra un dialogo e un monologo, Sorrentino infila tutte le peggiori accuse possibili al Berlusconi reale e alla sua corte di leccapiedi, ma qui manca lo stile del Divo, e la gogna finisce per risultare didascalica, per quanto coraggiosa. Le cose migliori del film probabilmente sono proprio le parti piรน parodiche, quelle in cui si sbertucciano la vuotezza della filosofia berlusconiana e la sua estetica trash, tra balletti di veline e film tv sulla โ€œgiovane Montalciniโ€, e un finale inaspettato che fa da contrasto a tutto quanto si รจ visto fino ad allora.

Per il resto, un film sicuramente interessante ma decisamente dispersivo, piรน riuscito come gesto di denuncia sociale (non รจ un caso che sia dedicato a Francesco Rosi) che come oggetto cinematografico.


Per completisti

Lโ€™amico di famiglia (2006)

Al suo terzo film, e fresco delle critiche positive a Le conseguenze dellโ€™amore, il regista napoletano non punta certo su un ritorno che accontenti tutti: al contrario, Lโ€™amico di famiglia รจ quanto di piรน volutamente sgradevole e respingente abbia fatto finora.

A dare questa impressione รจ lo stesso protagonista, Geremia โ€œCuore dโ€™oroโ€ de’ Geremei (lo straordinario, seppur poco noto, caratterista Giacomo Rizzo), un uomo che a una notevole bruttezza fisica unisce non solo dei modi viscidi e untuosi, ma anche il vizio morale del mestiere di usuraio.

Questo Shylock dai capelli tinti vive e lavora nellโ€™area di Latina (anche questa unโ€™ambientazione anomala), e la sua vita fatta di prestiti e minacce prende una piega diversa nel momento in cui si trova ad essere creditore del padre di Miss Agro Pontino (Laura Chiatti), una ragazza che rappresenta tutto ciรฒ che (forse) lui non potrร  mai avere.

Musiche di Teho Teardo con comparsate in colonna sonora di Antony and the Johnsons, lunghe panoramiche al ralenti su situazioni ordinarie rese mistiche, momenti di surrealtร  tra Fellini e Lynch, uno strano mix tra lโ€™eleganza formale della regia e lo squallido realismo del contesto, tra orchi, case malamente arredate e miserie di provincia.

Il film, perรฒ, in fondo รจ un passo indietro per il regista, che sceglie la via di un cinema indipendente e per pochi, distaccato e crudele, piรน da rispettare che da amare, nonostante l’autore abbia le doti per parlare a molti.


Youth – La giovinezza (2015)

Non sarebbe stato facile per nessuno tornare dietro la macchina da presa dopo il successo mondiale de La grande bellezza, e Sorrentino pensรฒ bene che, se proprio bisognava farlo, tanto valeva gratificarsi con un cast da sogno che nessun italiano si sarebbe mai potuto permettere prima.

Sir Michael Caine, che sprizza leggenda da ogni poro a ottantโ€™anni suonati, รจ Fred, un ex compositore e direttore dโ€™orchestra in vacanza sui monti svizzeri, dove si concede relax, aria buona e cure termali. Con lui cโ€™รจ il consuocero Mick (Harvey Keitel, e siamo a due leggende), un anziano regista impegnato a scrivere un nuovo film, che si intrattiene col vecchio amico tra ricordi giovanili e riflessioni sulla terza etร .

Se La grande bellezza si rifaceva a La dolce vita, in questo caso a partire dallโ€™ambientazione termale il riferimento felliniano รจ 8 ยฝ, cosรฌ come sono (troppo) felliniane le apparizioni oniriche di figure del passato, e le facce anomale degli altri ospiti, tra cui un Maradona obeso interpretato da un sosia.

Per quanto i duetti attoriali tra Caine e Keitel siano impagabili, e per quanto alla loro bravura vada aggiunta quella di altre star come Jane Fonda, Rachel Weisz e Paul Dano, lโ€™odore di melenso, lirico, edificante e inutilmente solenne pervade ogni scena, tra coretti mistici a cappella ormai onnipresenti e citazioni da Novalis totalmente inverosimili nella realtร .

Sicuramente un passo indietro, in cui le troppe velleitร  filosofiche ed estetiche non vengono bilanciate come nel film precedente da una necessaria ironia.


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