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Nel 1976, Joni Mitchell può fare quello che vuole. Ha alle spalle sette album in studio che l’hanno proclamata regina del nuovo cantautorato introspettivo, si destreggia alla pari con tutti i suoi colleghi uomini ed è talmente popolare che perfino un suo album dal vivo, Misles of Aisles, è arrivato al secondo posto nella classifica di vendite di Billboard.
Fino ad ora lo stile della trentaduenne canadese è stato piuttosto riconoscibile: una voce cristallina e autorevole (che però non tralascia di prendersi in giro di quando in quando), arrangiamenti scarni di chitarra e piano, e una capacità che condivide con molti suoi amici del cantautorato di base in California (da Stephen Stills a Jackson Browne) di riversare nei testi le sue storie di vita privata, in una sorta di lunga seduta di analisi condita di poesia.
A dimostrazione del suo essere stata ormai accettata come una firma di prima grandezza sia dal pubblico che dall’eletta schiera dei colleghi cantautori, a fine 1975 si aggrega brevemente anche alla carovana della Rolling Thunder Revue di Bob Dylan, un tour che portava sul palco di vecchi teatri di provincia più di una dozzina di musicisti come se si trattasse di uno spettacolo itinerante di varietà (qui la storia).
Joni però non è tipo da crogiolarsi nel successo, e proprio quando potrebbe scegliere la via di un pop blando e piacione, se ne esce con un album, Hejira, che fin dal titolo rende perplessi, e che anche all’ascolto dimostra una sensibilità diversa dal passato e una voglia di superare ogni stereotipo musicale.

La misteriosa parola che compare in copertina in italiano si scrive “egira”, e forse a qualcuno riporterà alla mente qualche ricordo scolastico, visto che si tratta del termine con cui si definisce “l’abbandono della Mecca da parte di Maometto e il suo trasferimento a Medina, nel settembre del 622 d.C.”. Secondo quanto dirà Mitchell, la parola le sembrava una buona sintesi di una maniera di “scappare onorevolmente” e “abbandonare il sogno, senza colpe”.
Come turnisti in studio chiama due fuoriclasse come Larry Carlton alla chitarra solista e Jaco Pastorius al basso, che su sua richiesta virano le sue folk songs sul jazz più moderno e sembrano essere tra i pochi che sappiano stare dietro ai suoi misteriosi accordi, sempre con una qualche nota strana che sembra uscita dal cilindro del mago.
Il suono è quindi più che mai scarno, quasi privo di batteria, ma non per questo semplice o anonimo: Pastorius usa il basso come fosse uno strumento solista, e il suo timbro è talmente caratteristico che influenzerà (soprattutto grazie alla sua militanza nel supergruppo jazz Weather Report) la musica più disparata: basti ascoltare perfino il Guccini del periodo Autogrill (1983) per averne conferma.
Le nove canzoni, a riprova del titolo e della bella copertina in cui una Joni più bella e algida del solito è sovrapposta a una strada di provincia, sono tutte unite dal tema del viaggio, come se l’album fosse un diario di bordo in cui buttare giù impressioni dei vari incontri fatti lungo la strada.

L’autrice infatti, tra il ’75 e il ’76, aveva effettivamente viaggiato in lungo e in largo per gli Stati Uniti in automobile, prima con due amici e poi da sola, e questo girovagare tra California, Maine, Florida e ritorno era stato anche terapeutico per la fine della sua storia d’amore con il batterista John Guerin.
Se a differenza dei mille eroi maschili di Kerouac, nella tradizione è raro trovare immagini di donne on the road, e quando questo capita è di solito per un fallimento della propria vita o per una fuga verso un destino segnato (basti pensare a Thelma & Louise), Joni sembra anche questa volta fare da avanguardia per porsi come donna indipendente e forte che può permettersi di “scappare onorevolmente” e tornare sana, salva e più ispirata di prima.
Come disse in un’intervista, “egira era una parola misteriosa che […] aveva a che fare con l’abbandonare una relazione, ma senza il senso di fallimento che aveva accompagnato la fine delle mie precedenti relazioni. Sentivo che non era necessariamente colpa di qualcuno. Era un nuovo atteggiamento”.
La prima traccia lo riflette perfettamente: si intitola Coyote ma non è una canzone-documentario sugli animali selvatici: sotto questo nomignolo si nasconde invece Sam Shepard, il grande drammaturgo e attore che, anch’egli parte della carovana di Bob Dylan, aveva finito per avere un breve flirt con la Mitchell tra un concerto e l’altro.
Per quanto però “Coyote” sia descritto come un dongiovanni, la situazione si ribalta perché è la protagonista del pezzo, con tono autobiografico, a dargli il benservito convincendolo che lui con il suo amore per i ranch nel Grande Nord e lei presa tra studi di registrazione e polverine sono due caratteri troppo diversi, e che dovrà accontentarsi di salutarla senza rimpianti perché “prigioniera delle linee bianche dell’autostrada”.
Buffo notare, dai bootleg dell’epoca, che Joni cantò la canzone praticamente in tempo reale mentre la sua tresca con Shepard aveva luogo, tanto da introdurla così in un concerto del dicembre ’75 a un pubblico che non l’aveva mai sentita: “Ho questo pezzo che è andato crescendo: è iniziato con due strofe e un paio di sere dopo ne avevo una terza, e l’altra notte ne ho scritta una quarta. Credo sia finita ma chissà, forse ci sono un altro paio di capitoli prima della fine”. In realtà la canzone rimase com’era, forse a dimostrazione che quell’avventura non aveva futuro.
La canzone termina infatti con una bellissima descrizione malinconica di Shepard che, ormai solo, ricorda con nostalgia il suo ultimo incontro con la protagonista l’autrice. Così lo descrive:
Coyote è nella caffetteria
Sta fissando un buco nelle sue uova strapazzate
Coglie una traccia del mio profumo sulle sue dita
Mentre guarda le gambe alle cameriere
È troppo lontano dalla Baia di Fundy
Da cavalli appaloosa e aquile e maree
E i cubicoli da ufficio con l’aria condizionata
E l’andirivieni dei nastri d’inchiostro delle macchine da scrivere
Lo stanno dicendo a chiare lettere:
Dovrà scegliere se resistere e lottare oppure fare fagotto
Anch’io ho provato a scappare
A scappare e a lottare col mio ego
E con questa fiamma
Che hai acceso qui in questa eschimese
In quest’autostoppista
In questa prigioniera
Delle sottili strisce bianche
Delle strisce bianche dell’autostrada
Se in Coyote si descriveva la vita del musicista in tour, tra colleghi e balere, la seconda canzone, Amelia, ci porta subito in una dimensione più privata, quella della viaggiatrice solitaria, e per farlo la Mitchell si rivolge alla santa protettrice di ognuna di loro, Amelia Earhart, pionieristica pilota di biplani che nel 1937 scomparve nel Pacifico insieme al suo aereo senza mai essere ritrovata.
Come direbbe meglio Joni: “Fu inghiottita dal cielo oppure dal mare/come me aveva il sogno di volare/Come Icaro che si solleva su sciocche e meravigliose braccia”. È l’occasione per immalinconirsi al pensiero di una storia finita e rendersi conto che “forse non ho mai amato veramente, immagino sia la verità/Ho passato tutta la vita tra le nuvole a gelide altitudini/E guardando dall’alto in basso ogni cosa mi sono schiantata tra le braccia di lui/Amelia, è stato solo un falso allarme”.
Probabilmente solo Ivano Fossati e il suo Lindbergh, “anima di un pesce con le ali volato via dal mare per annusare le stelle”, lo hanno detto altrettanto bene.

In Furry Sings the Blues c’è anche spazio per una tappa (realmente avvenuta) a New Orleans, in particolare nella Beale Street in cui un tempo regnavano le grandi band e che ora è oggetto di demolizione per far posto a centri commerciali e parcheggi. Il vecchio bluesman Furry Lewis, “appoggiato sul suo letto con la dentiera e la sua gamba rimosse”, più che cantare ormai tira fuori “un borbottio condito da chiacchiere da imbonitore” (imitato comicamente dall’autrice), ma “c’era una canzone che ha suonato che mi ha toccato davvero”.
A Strange Boy è invece la descrizione di un uomo-bambino, potremmo dire un bamboccione, che vive ancora coi genitori e che all’imperativo della matura Joni “Cresci!” risponde innocentemente “Dammi una buona ragione per farlo”.
La title-track, accompagnamento tenebroso da film noir e voce sognante, è una delle vette del disco: anche qui la protagonista è “in viaggio su qualche veicolo” come “una disertrice delle guerre futili/fino a quando l’amore non mi risucchierà di nuovo”, che tra una tappa e l’altra usa le canzoni come maniera per “scribacchiare con calligrafia illeggibile per la mia immortalità”, e si lancia in profonde meditazioni sulla vita, la morte e l’inconoscibilità delle persone: “Lo so che nessuno si mostrerà del tutto/Tutti andiamo e veniamo come sconosciuti/Ciascuno così profondo e così superficiale/Tra il forcipe e la tomba”.
Song for Sharon, che con i suoi 8 minuti è la canzone più lunga di un album di canzoni lunghe, è una canzone-confidenza in cui sembra che Joni più che incidere per un grande pubblico stia telefonando all’amica di infanzia Sharon Bell, che al contrario di lei aveva iniziato studiando canto ma aveva finito per trovare serenità sposando un agricoltore. Joni, trentaduenne appena reduce dalla fine di una relazione, osserva un abito da sposa in vetrina e si interroga sulle sue contraddizioni: il sogno di bambina “della cerimonia delle campane e del pizzo” ma anche la sua necessità di restare libera. “Sharon, tu hai un marito e una famiglia e una fattoria/Io ho la mela della tentazione e un serpente di diamanti attorno al braccio/Ma tu hai ancora la tua musica e io ho ancora gli occhi sulla terra e sul cielo/Tu canti per i tuoi amici e la famiglia, io attraverserò verdi pascoli prima o poi”.
Black Crow è forse l’episodio più debole dell’album, un po’ troppo acido e minaccioso rispetto allo stile del resto, mentre Blue Motel Room è una cullante ballata da relazione a distanza, con una Mitchell tenera e meno autonoma del solito che promette di abbandonare l’autostrada al suo uomo e, gelosa delle donne che ci provano col suo amato, gli consiglia: “Perché non dici loro che hai la rosolia? Amore, digli che hai i germi”, e intima: “Dillo a quelle ragazze che tu hai Joni, e sta tornando a casa”. Più autobiografico di così…
Un po’ come il coevo Blood On the Tracks di Bob Dylan (qui recensione e traduzioni), che insieme a Hejira e pochi altri è ancora considerato la vetta di un certo cantautorato americano anni Settanta, anche quest’album si conclude con una ricerca di rifugio: lì lo Shelter From the Storm, il riparo dalla tempesta, qui il Refuge of the Roads, l’asilo delle strade.
In questa degnissima conclusione narrativa del disco, Mitchell inanella i suoi incontri stradali: un amico “che si sbronzava e andava a donne”, poi “degli sbandati naufragati in una città di mare” a cui finisce per cucinare la cena, e ancora le “nuvole di Michelangelo” incontrate “correndo per una strada di sabbia bianca” “come un cervo dalle chiappe bianche”. Come a dimostrare che lasciarsi andare a uno stile di vita nomade e superficiale non sia facile per chiunque, ammette che nonostante tutto fosse “così leggero e facile”, a un certo punto ha ricominciato “ad analizzare”, e ha “ritirato fuori le mie vecchie abitudini/Un nuvolone di giudizio si stava formando nel mio sguardo/E molta gente cominciò ad innervosirsi”.
L’immagine della strofa finale che chiude il disco è tra le più belle, e romanticamente cita Earthrise, la fotografia che il 24 dicembre 1968 fu scattata dall’astronauta William Anders nel corso della prima missione spaziale con degli uomini a bordo arrivata nell’orbita della luna. In quell’occasione, i tre astronauti dell’Apollo 8 dovevano anche fare foto della superficie lunare, ma a un certo punto uno di loro alzò lo sguardo e vede la Terra che sembrava sorgere in lontananza. Istintivamente, anche se non era previsto, strappò la fotocamera al collega e scattò, e quella foto, da allora nota come Earthrise, “sorgere della Terra”, fece il giro del mondo.
E anche se oggi, a solo un paio di generazioni di distanza, ci sembra normalissimo, quella era la prima volta che noi terrestri avevamo modo di vederci “da fuori” (c’era stata una foto in bianco e nero, ma niente di paragonabile), la prima volta che non eravamo più geocentrici, la prima volta in cui ci vedevamo come una “palla da bowling di marmo” isolata e fragile nel buio.

Alcuni hanno detto che è stata l’immagine che ha dato il via al movimento ecologista, alcuni ci hanno fatto un francobollo con la didascalia “In principio Dio…”, altri sono diventati atei dopo averla vista, uno degli astronauti disse che erano andati lassù per esaminare la Luna e invece avevano scoperto la Terra.
Joni, con le ultime parole del disco, appena prima di congedarsi e riportare i suoi bagagli a casa, ce la descrive così:
In una stazione di servizio sull’autostrada
Nel corso del mese di giugno
C’era una fotografia della Terra
Scattata di ritorno dalla Luna
E non si poteva vedere nemmeno una città
Su quella palla da bowling di marmo
O una foresta o un’autostrada
E meno che mai io
Non si potevano vedere questi gabinetti senz’acqua calda
O questi bagagli troppo pieni
Diretta a ovest, rotolando via, e trovando asilo nelle strade.
Tutti i testi e le traduzioni di Hejira:
COYOTE (COYOTE)
Niente rimpianti, Coyote
È che veniamo da situazioni talmente diverse
Io in piedi tutta la notte negli studi di registrazione
E tu sveglio presto nel tuo ranch
Starai già strigliando la coda di una giumenta al sorgere del sole
Quando io starò tornando a casa coi miei nastri
Non c’è davvero modo di capire
Quanto possiamo avvicinarci alle ossa, alla pelle, agli occhi e alle labbra
E sentirci comunque così soli, eppure legati
Come ripetitori di un segnale radio
Tu non sei un pirata della strada, che tocca e fugge via, no
Hai solo preso a bordo un’autostoppista
Una prigioniera delle strisce bianche dell’autostrada
Abbiamo visto una fattoria bruciare
Nel bel mezzo del nulla, nel bel mezzo della notte
E abbiamo proseguito oltre quella tragedia
Fino ad accostare alle luci di una locanda
Dove suonava una band della zona
E gli abitanti del posto si scatenavano sulla pista
Poi è stato il tempo di un attimo:
Ecco Coyote alla mia porta
Mi stringe in un angolo e non vuol sentire ragioni
Mi trascina sulla pista da ballo
E balliamo stretti un lento
Lui ha una donna a casa, ne ha un’altra nella hall
Ma sembra volermi comunque
“Perché ti sei dovuta ubriacare in quel modo
E illudermi così?”
Hai solo preso a bordo un’autostoppista
Una prigioniera delle strisce bianche dell’autostrada
Ho guardato un coyote dritto negli occhi
Sulla strada per Baljennie, vicino a dove sono nata
Si muoveva correndo tra le spighe di grano, braccando una preda
E un falco si divertiva con lui
Il coyote saltava in alto e faceva le sue finte
Aveva gli stessi tuoi occhi, quelli che nascondi sotto gli occhiali da sole
Quando scandagli in privato le hall
E sbirci dal buco della serratura delle stanze d’albergo
Dove i musicisti si leccano le ferite e portano i loro amori occasionali
E le loro pillole e polverine per sopravvivere a questa via crucis
Niente rimpianti, Coyote
Puoi farmi scendere un po’ più avanti
Hai solo preso a bordo un’autostoppista
Una prigioniera delle strisce bianche dell’autostrada
Coyote è nella caffetteria
Sta fissando un buco nelle sue uova strapazzate
Coglie una traccia del mio profumo sulle sue dita
Mentre guarda le gambe alle cameriere
È troppo lontano dalla Baia di Fundy
Da cavalli appaloosa e aquile e maree
E i cubicoli da ufficio con l’aria condizionata
E l’andirivieni dei nastri d’inchiostro delle macchine da scrivere
Lo stanno dicendo a chiare lettere:
Dovrà scegliere se resistere e lottare oppure fare fagotto
Anch’io ho provato a scappare
A scappare e a lottare col mio ego
E con questa fiamma
Che hai acceso qui in questa eschimese
In quest’autostoppista
In questa prigioniera
Delle sottili strisce bianche
Delle strisce bianche dell’autostrada
AMELIA (AMELIA)
Stavo guidando attraverso il deserto infuocato
Quando ho notato sei jet
Che lasciavano sei scie di vapore bianco sul terreno desolato
Era l’esagramma dei cieli
Erano le corde della mia chitarra
Amelia, è stato solo un falso allarme
Il ronzio dei motori in volo
È una canzone così selvaggia e malinconica
Rimescola il tempo e le stagioni se la ascolti
Allora la tua vita diventa un diario di viaggio
Fatto di amuleti a forma di cartolina
Amelia, è stato solo un falso allarme
Le persone ti diranno dove sono andate
Ti diranno dove andare
Ma finché non ci arriverai anche tu, tu non potrai mai saperlo
Dove alcuni hanno trovato il loro paradiso
Altri vanno solo per portare dolore
Oh Amelia, è stato solo un falso allarme
Vorrei che lui fosse qui stasera
È così difficile obbedire
Alla sua triste richiesta di restarmene gentilmente alla larga
E quindi è così che nascondo il dolore
Mentre la strada prosegue maledetta e incantata
Ti dico, Amelia, è stato solo un falso allarme
Un fantasma dell’aviazione
Fu inghiottita dal cielo
Oppure dal mare, come me aveva il sogno di volare
Come Icaro che si solleva
Su sciocche e meravigliose braccia
Amelia, è stato solo un falso allarme
Forse non ho mai amato veramente
Immagino sia la verità
Ho passato tutta la vita tra le nuvole a gelide altitudini
E guardando dall’alto in basso ogni cosa
Mi sono schiantata tra le braccia di lui
Amelia, è stato solo un falso allarme
Ho accostato al Cactus Tree Motel
Per togliermi di dosso la polvere con una doccia
E ho dormito sugli strani cuscini della mia brama di girovagare
Ho sognato di aerei 747
Sopra geometriche fattorie
Sogni, Amelia, sogni e falsi allarmi
FURRY CANTA IL BLUES (FURRY SINGS THE BLUES)
La vecchia Beale Street è in rovina
Lo Sweeties’ Snack Bar ormai ha la porta sprangata
E Egles il sarto e il ragazzino lustrascarpe se ne sono andati
Svaniti al ritmo di un ragtime blues
Handy è scolpito nel bronzo
E se ne sta in piedi in un piccolo parco
Con una tromba in mano
Come se stesse riascoltando le belle band di una volta
E lo scalpiccio di scarpe col tacco alto
Il vecchio Furry canta il blues
Appoggiato sul suo letto
Con la dentiera e la gamba rimosse
E Ginny è lì
Per la sua gentilezza e la birra di Furry
È l’angelo custode del vecchio
I banchi dei pegni scintillano come capsule di denti d’oro
Tra il decadimento grigio
Rosicchiano gli ultimi dollari dalla carcassa della vecchia Beale Street
Carogne e pietà
Batterie scintillanti color blu e argento
Chitarre a buon mercato, visiere e pistole
Puntate al sangue caldo di non essere nessuno
Senza un soldo a Memphis, Tennessee
Il vecchio Furry canta il blues
Portagli da fumare e da bere e lui suonerà per te
Ormai è più che altro un borbottio condito da chiacchiere da imbonitore
Ma c’era una canzone che ha suonato che mi ha toccato davvero
C’è un duplice omicidio al prezzo di uno al cinema New Daisy
La vecchia ragazza è in silenzio dall’altra parte della strada
È in silenzio in attesa del botto del demolitore
In silenzio fissa il suo nome rubato
Ragazzini di diamante e bambole di raso
Risate al bourbon, fantasmi
La storia fa posto a parcheggi e centri commerciali
Mentre abbattono la vecchia Beale Street
Il vecchio Furry canta il blues
Ti punta addosso un dito ossuto e dice: “Non mi piaci”
Tutti ridono come se fosse la battuta tipica del vecchio
Ma è vero
Siamo benvenuti giusto per il nostro drink e per il fumo
W.C. Handy, sono ricca e bislacca
E non conosco bene quello che suonavi
Ma i vostri anni d’oro mi colpiscono davvero
Guardando su e giù per la vecchia Beale Street
I fantasmi della buona società della città buia
Escono fuori dai mattoni e mi vengono incontro
Come se fosse un sabato sera
Sono tutti in ghingheri
Ci danno dentro con i balli e fanno affari
Furry canta il blues
Perché dovrei aspettarmi che quel vecchio mi dica le cose come stanno
Sconfitto dalla sfortuna, dal tempo e da altri ladri
Mentre la nostra limousine luccica sulla sua strada di baracche
Il vecchio Furry canta il blues
UNO STRANO RAGAZZO (A STRANGE BOY)
Uno strano ragazzo sta tessendo una tela di grazia e di caos
Su uno skateboard giallo in mezzo al trafficato marciapiede di mezzogiorno
Proprio quando penso che sia sciocco e infantile
E vorrei che si comportasse da uomo
Colgo il mio sciocco bambino bisognoso d’amore e comprensione
Che strano, strano ragazzo
Vive ancora con la famiglia
Neanche la guerra e la marina sono riusciti a farlo maturare
Parla sempre dei giorni della scuola e si aggrappa alla sua infanzia
Irrequieta e bullizzata
La sua folle saggezza si aggrappa a qualcosa di selvaggio
Mi ha chiesto di essere paziente: be’, non ce l’ho fatta
“Cresci!”, gli ho gridato
E mentre il fumo si diradava, mi ha detto: “Dammi una buona ragione per farlo”
Che strano, strano ragazzo
Vede le auto come sciami di onde
Sequenze di massa e spazio
Vede il danno sulla mia faccia
Ci siamo sballati viaggiando e ci siamo ubriacati di alcool
E d’amore: il veleno e la medicina più forti di tutti
Vedi come questa sensazione viene e va
Come l’attrazione della luna sulle maree
Un attimo mi sto alzando su una tavola da surf
E un attimo sono nervature di sabbia arida al suo fianco
Che strano, strano ragazzo
Gli ho dato vestiti e gioielli
Gli ho dato il mio corpo caldo
Gli ho dato potere su di me
Un migliaio di occhi di vetro fissavano in una cantina piena di bambole antiche
Ho trovato un vecchio pianoforte
E accordi dolci si sono alzati tra le sale cerate del New England
Mentre i collegiali russavano sotto lisce lenzuola bianche di coprifuoco
Eravamo amanti da poco allora
Eravamo fuoco nelle rigide regole della casa dai capelli blu
EGIRA (HEJIRA)
Sono in viaggio su un qualche veicolo
Sono seduta in un qualche bar
Una disertrice delle guerre futili
Con i loro traumi bellici che allontanano l’amore
C’è del conforto nella malinconia
Quando non c’è alcun bisogno di spiegare
È naturale come il tempo che fa in questo cielo lunatico di oggi
Nel nostro stare insieme possessivo
Molto non poteva essere espresso
E così ora sto restituendo a me stessa
Le cose che io e te abbiamo soppresso
Vedo qualcosa di me in chiunque
Proprio in questo momento del mondo
Mentre la neve si accumula come rotoli di pizzo
Ballando il valzer su una ragazza da balera
Si sa che non è mai stato facile
Che tu ti rassegni o no
Che tu ti spinga da un estremo a un altro
O che ti attenga a un percorso più diritto
Ecco un uomo e una donna seduti su una roccia
Finiranno per scongelarsi oppure gelare
Ascolta:
Pezzi di Benny Goodman arrivano attraverso la neve e gli alberi di pino
Io sono permeabile alla febbre del viaggiare
Ma lo sai, sono anche tanto contenta di starmene per conto mio
Ancora oggi in qualche modo il minimo tocco di uno sconosciuto
Fa scattare un brivido nelle mie ossa
Lo so che nessuno si mostrerà del tutto
Tutti andiamo e veniamo come sconosciuti
Ciascuno così profondo e così superficiale
Tra il forcipe e la tomba
Ho osservato le lapidi di granito
Quei tributi a ciò che è definitivo, a ciò che è eterno
E poi mi sono vista qui
A scrivere con calligrafia illeggibile per la mia immortalità
Nella chiesa accendono le candele
E la cera scende come lacrime
Ci sono la speranza e la mancanza di speranza
Di cui sono testimone da trent’anni
Siamo solo particelle di cambiamento, lo so, lo so
In orbita attorno al sole
Ma come posso avere quel punto di vista
Quando sono sempre sospinta e legata a qualcuno
Bandiere bianche di comignoli d’inverno
Chiedono tregua contro la luna
Negli specchi di una banca moderna
Dalla finestra di una stanza d’albergo
Sono in viaggio su un qualche veicolo
Sono seduta in un qualche bar
Una disertrice delle guerre futili
Fino a quando l’amore non mi risucchierà di nuovo
CANZONE PER SHARON (SONG FOR SHARON)
Sono andata a Staten Island, Sharon
Per comprarmi un mandolino
E ho visto il lungo abito bianco dell’amore
Addosso a un manichino in vetrina
Una grossa nave tornava sbuffando con la pancia piena di automobili
Tutto questo per una cosa di pizzo
Una ragazza andrà a vedere quel vestito
Bramando quel giorno alla follia
Piccoli ragazzini indiani su un ponte su in Canada
Riescono a restare in equilibro e arrampicarsi
Come i loro padri prima di loro
Cammineranno sulle travi del panorama di Manhattan
Fai brillare la tua luce su di me, Miss Libertà
Perché non appena questo traghetto attraccherà
Andrò in chiesa per giocare a Bingo
Facendomi spennare insieme alle mandrie di giocatori d’azzardo
Posso mantenere la calma a poker
Ma divento una sciocca quando c’è in gioco l’amore
Perché non posso nascondere le emozioni
Quello che provo sta sempre scritto sul mio viso
C’è una zingara giù a Bleecker Street
Sono andata da lei un po’ per scherzo
Lei ha acceso una candela per la mia fortuna in amore
E diciotto dollari sono andati in fumo
Sharon, ho lasciato il mio uomo
A un bivio nel North Dakota
E sono venuta qui nella Grande Mela
Per affrontare il guasto nel sogno
L’amore è un pericolo noiosamente ripetitivo
Tu penserai che ormai mi ci sia abituata
Be’, sì, accetto i cambiamenti
Perlomeno meglio di una volta
Una donna che conoscevo si è annegata da poco
Il pozzo era profondo e fangoso
Si stava disfacendo delle frivolezze
O voleva punire qualcuno
Ieri i miei amici hanno passato la giornata a telefonarmi
Tutte le emozioni e le astrazioni
Sembra che viviamo tutti così vicini a quella linea
E così lontani dalla soddisfazione
Dora dice: “Fai dei figli!”
Mamma e Betsy dicono: “Trovati un’associazione benefica
Aiuta i bisognosi e gli storpi o dedica un po’ di tempo all’ecologia”
Be’, c’è un mondo davvero ampio di cause nobili
E incantevoli paesaggi da scoprire
Ma tutto quello che voglio veramente adesso
È trovare un altro amore
Quando eravamo bambine a Maidstone, Sharon
Sono andata a ogni matrimonio di quella piccola città
Per vedere le lacrime e i baci
E la bella donna con l’abito da sposa di pizzo
E mentre tornavo a casa a piedi sui binari della ferrovia
O dondolandomi sull’altalena al parco giochi
L’amore stimolava le mie fantasie più di ogni altra cosa
E quando sono andata a pattinare dietro a Golden Reggie
Sai, era il pizzo bianco che stavo inseguendo
Inseguivo sogni
Con le calze di nylon di mamma sotto i miei jeans da campagnola
Fu lui a insegnarmi che prima vengono i baci
E poi le lacrime
Ma la cerimonia delle campane e del pizzo
Ancora getta un velo su questa sciocca spericolata qui
Ora ci sono 29 pattinatori sulla pista di Wolmann
Che tracciano cerchi da soli o in coppia
In quest’anonimità vigorosa
Un volto assente alla finestra fissa e fissa e fissa e fissa
E la forza della ragione
E i fiori dei sentimenti profondi
Sembrano essere adatti a me
Solo per poi illudermi
Sharon, tu hai un marito
E una famiglia e una fattoria
Io ho la mela della tentazione
E un serpente di diamanti attorno al braccio
Ma tu hai ancora la tua musica
E io ho ancora gli occhi sulla terra e sul cielo
Tu canti per i tuoi amici e la famiglia
Io attraverserò verdi pascoli prima o poi
CORVO NERO (BLACK CROW)
C’è un corvo che vola
Nero ed esausto di albero ad albero
È nero come l’autostrada che sto percorrendo
Ora scende in picchiata
Per prendere al volo qualcosa di luccicante
Mi sento come quel corvo nero in volo
In un cielo azzurro
Ho preso un traghetto per l’autostrada
Poi ho guidato fino ad un idrovolante
Ho preso un aereo verso un taxi
E un taxi verso un treno
Ho viaggiato così a lungo
Come potrò riconoscere la mia casa quando la rivedrò?
Sono come un corvo nero in volo
In un cielo azzurro
Alla ricerca di amore e musica
È stata tutta la mia vita
Illuminazione, corruzione
E gettarsi in picchiata, in picchiata, in picchiata
Giù in picchiata a raccogliere qualsiasi cosa luccichi
Proprio come quel corvo nero in volo
In un cielo azzurro
Ho guardato il mattino
Dopo essere stata sveglia tutta la notte
Ho guardato il mio viso smunto alla luce del bagno
Ho guardato fuori dalla finestra
E ho visto quell’anima esausta prendere il volo
Ho visto un corvo nero in volo
In un cielo azzurro
Oh, io sono come un corvo nero in volo
In un cielo azzurro
TRISTE STANZA DI MOTEL (BLUE MOTEL ROOM)
Ho una triste stanza di motel
Con un triste copriletto blu
Ho la tristezza dentro e fuori dalla testa
Mi amerai ancora quando ti chiamerò se sarò giù di morale?
Qui a Savannah diluvia
Le palme alla luce della veranda sembrano cellophane nero e liscio
Mi amerai ancora quando ti chiamerò perché sto tornando in città?
Lo so che hai tutte quelle belle ragazze che ci provano con te
Che corrono dietro al tuo pachiderma bum bum
Perché non gli dici che hai la rosolia?
Amore, digli che hai i germi
Spero che mi penserai, perché io penserò a te
Mentre sarò in viaggio da sola verso casa
Dillo a quelle ragazze che tu hai Joni
E che sta tornando a casa
Ho le mappe stradali di due dozzine di stati
Ho lo spazio da costa a costa da contemplare
Mi amerai ancora quando tornerò in città?
È strano come queste vecchie sensazioni rimangano
Tu pensi che se ne siano andate
No, no… Si limitano a finire sottovento
Mi amerai ancora quando tornerò a Los Angeles?
Tu ed io, siamo come l’America e la Russia
Stiamo sempre a segnare i punti
Sempre a tenere le forze in equilibrio
E questo può diventare una guerra fredda
Dovremo intavolare un negoziato di pace
In qualche caffè neutrale
Tu deponi i tuoi intrallazzi in città, amore
E io deporrò l’autostrada
Ho una triste stanza di motel
Con un triste copriletto blu
Ho la tristezza dentro e fuori della mia testa
Mi amerai ancora quando sarò tornata in città?
L’ASILO DELLE STRADE (REFUGE OF THE ROADS)
Ho incontrato un amico di spirito
Uno che si sbronzava e andava a donne
E mi sono seduta davanti alla sua sanità mentale
Trattenendomi dal piangere
Lui ha visto le mie complicazioni
E me le ha restituite semplificate
E abbiamo riso di come la nostra perfezione
Ci sarebbe sempre stata negata
“Cuore, umorismo e umiltà”
Ha detto, “alleggeriranno il tuo pesante fardello”
L’ho lasciato per chiedere asilo alle strade
Mi sono unita a degli sbandati
Naufragati in una città di mare
Affettati misti della Winn Dixie e vestiti usati da autostrada
E sono finita a cucinare la cena
A loro e a Boston Jim
Mi riempio d’affetto
Ripensando alle strade di allora
Le reti erano strapiene
Nel Golfo del Messico
Erano strapiene nell’asilo delle strade
C’era la primavera lungo i fossi
Erano bei tempi nelle città
Oh, la felicità radiosa
Era tutto così leggero e facile
Finché non ho iniziato ad analizzare le cose
E ho ritirato fuori le mie vecchie abitudini
Un nuvolone di giudizio si stava formando nel mio sguardo
E molta gente cominciò ad innervosirsi
Semplicemente non volevano sapere
Quello che stavo vedendo nell’asilo delle strade
Riuscii ad arrivare presso una foresta
I grilli frinivano tra le felci
Come una ruota della fortuna
Ho sentito il mio destino girare, girare, girare
E sono scesa correndo per una strada di sabbia bianca
Correvo come un cervo dalle chiappe bianche
Correvo per liberarmi della tristezza
Per l’innocenza che era qui
Queste sono le nuvole di Michelangelo
Muscolose insieme agli dei e al sole color dell’oro
Brillate sulla vostra testimone nell’asilo delle strade
In una stazione di servizio sull’autostrada
Nel corso del mese di giugno
C’era una fotografia della Terra
Scattata di ritorno dalla Luna
E non si poteva vedere nemmeno una città
Su quella palla da bowling di marmo
O una foresta o un’autostrada
E meno che mai io
Non si potevano vedere questi gabinetti senz’acqua calda
O questi bagagli troppo pieni
Diretta a ovest, rotolando via e trovando asilo nelle strade
Tutte le traduzioni a cura di Guglielmo Latini
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