Mi consigli un film? – Vol. 21

Consigli per tutti e anche qualche film decisamente sconsigliato, così da evitare rischi.

Se un film tra quelli recensiti vi incuriosisce, provate a dare un’occhiata all’app JustWatch per scoprire se per caso sia disponibile su Netflix, Prime Video, RaiPlay, Infinity o altre piattaforme di streaming (non mi pagano per la pubblicità!).

Di seguito le recensioni di: Billy il bugiardo, Hereditary – Le radici del male, Chi ha paura delle streghe?/Le streghe, Le Mans ’66 – La grande sfida, Top Secret!.

Via al volume 21! (qui l’archivio con tutte le altre puntate)


Billy il bugiardo (Billy Liar)

John Schlesinger, 1963

Per chiunque abbia visto Gioventù, amore e rabbia di Tony Richardson (1962), il volto di Tom Courtenay rimarrà sempre un simbolo di ribellione giovanile a cui rimanere affezionati, un po’ come l’Antoine Doinel de I 400 colpi o, in maniera diversa, l’Alex di Arancia meccanica.

Qui, al suo secondo film proprio dopo quello che era stato il suo esordio, è di nuovo una faccia da schiaffi britannica che si barcamena vivendo in casa dei genitori e lavorando svogliatamente in un’agenzia di pompe funebri nello Yorkshire.

Come un Walter Mitty in salsa Free Cinema inglese, Billy è un sognatore costantemente immerso in fantasie di successo in cui, comicamente, guida eserciti verso la vittoria o regna su nazioni immaginarie in cui la sua vita è più brillante che nella sua quotidianità a base di capufficio odiati e sabati sera in balera.

Come se non bastasse, la sua tendenza alla menzogna lo mette nei guai con ben due fidanzate diverse tra cui si divide, e le cose si complicano quando si fa rivedere anche una vecchia amica (una magnetica Julie Christie), che gli offre la possibilità di lasciare quel mondo e seguirlo nella grande capitale un po’ come il Moraldo dei Vitelloni felliniani.

Il tutto è in puro stile Nouvelle Vague, con protagonisti simpatici, narrazione anti-classica, fughe della fantasia e una buona dose di malinconia, ma la trama si trascina un po’ troppo senza veri e propri sviluppi al di là di una bell’affresco dell’Inghilterra del tempo.

Hereditary – Le radici del male (Hereditary)

Ari Aster, 2018

Film d’esordio di Ari Aster, che si è guadagnato recensioni entusiastiche come nuovo profeta dell’horror al Sundance Festival 2018 per poi deludere un po’ tutti col suo secondo film Midsommar (2019).

La storia in questo caso vede una famiglia (pressoché) normale, con genitori di mezz’età e due figli adolescenti, che comincia a scivolare in un incubo dal momento in cui l’anziana nonnina viene a mancare. E’ l’inizio di una serie di avvenimenti inquietanti, tra apparizioni, riti e ulteriori lutti, che porteranno a un vero e proprio trip allucinogeno di terrore.

Gli va sicuramente riconosciuto di non essere il tipico horror da due lire da noleggiare il sabato con gli amici (quando si noleggiavano i film e si poteva stare con gli amici): gli attori sono ottimi e alcune scene rimangono ben scolpite nella mente, vista la facilità con cui si passa da un dramma realistico sull’elaborazione di un lutto all’horror più delirante.

Il finale è follia pura, ma forse la paura è troppo irrazionale e lasciata senza catarsi per colpire fino in fondo. In ogni caso, se lo scopo è farvi dormire un po’ più inquieti del solito, lo scopo è raggiunto.

Chi ha paura delle streghe?/Le streghe (The Witches/The Witches)

Nicholas Roeg, 1990/Robert Zemeckis, 2020

Uscito il 22 ottobre su HBO Max e poi su varie piattaforme di streaming in tutto il mondo, il secondo di questa doppietta di film è stato uno dei pochissimi eventi cinematografici di questo 2020, ma non potevo evitare di rivedere anche la prima versione del 1990, considerando che all’epoca mi traumatizzò a vita.

Entrambi sono adattamenti di un romanzo breve del 1983 di Roald Dahl, lo scrittore britannico il cui gusto per le storie deviate rivolte ai bambini ci ha donato anche Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, Matilda 6 mitica, Fantastic Mr. Fox e Il grande gigante gentile.

La versione del 1990 vede alla produzione Jim Henson (creatore dei Muppet e regista di quell’altro traumatizza-infanti di Labirynth) e alla regia, non si sa come, Nicholas Roeg, che negli anni Settanta aveva realizzato film sperimentali e terrorizzanti come A Venezia… Un dicembre rosso shocking e L’uomo che cadde sulla terra. Il risultato è un film per bambini che sembra fatto col preciso intento di rovinare la loro infanzia: non solo si ipotizza che le streghe esistano, vivano nascoste tra gli uomini e abbiano come missione rapire e uccidere i bambini, ma ci viene anche mostrato nel dettaglio qual è il loro reale e disgustoso aspetto quando si tolgono le maschere.

Anjelica Houston azzecca il ruolo della vita (pari merito con Morticia Addams) nella parte della Grande strega suprema, sprezzante e malefica a puntino e protagonista di una trasformazione da brividi, e il resto è un intrigo poco più che sufficiente in cui la cosa più intrigante è il fatto che il bambino protagonista (orfano) a metà film venga trasformato in un topo, tanto per aggiungere trauma a trauma.

Ci sono tocchi di cattiveria sparsi in tutto il film (una strega spinge una carrozzina lungo una scarpata) che riflettono lo humor crudele di Dahl, e solo il finale sembra riscattare all’ultimo secondo il pessimismo del tutto.

Il remake del 2020 si fa notare per una storia di contorno (assente dal libro) utile a rimpolpare un racconto molto esile, e quindi abbiamo una narrazione in flashback nonché uno spostamento temporale (il 1968) e la scelta di rendere il bambino e la nonna protagonisti afroamericani.

Al posto della Huston c’è Anne Hathaway, che non difetta di carisma e ha una parte anche più ampia che nel primo film, ma i produttori hanno pensato di sfruttare il suo star power mantenendola (quasi) inalterata anche dopo la sua trasformazione in strega, togliendo quindi molto gusto orrorifico.

Vista la regia di Zemeckis, il tutto è sicuramente più stiloso e disneyano, la musica si fa notare di più e l’uso degli effetti speciali non è fastidioso come si poteva immaginare, e va detto che coraggiosamente si è deciso di lasciare inalterato il finale del libro, reso più “happy” nel 1990. Ma la follia felliniana di Roeg e il realismo straniante dei rudimentali effetti di allora è perduto, guadagnando in completezza ma perdendo sicuramente in visionarietà.

Le Mans ’66 – La grande sfida (Ford v Ferrari)

James Mangold, 2019

Buon successo di critica e botteghino della stagione passata, questo film ha tutte le carte in regola per funzionare: una storia vera di sport, due star che uniscono le forze, una regia dinamica e tanta velocità.

La storia è quella del progettista (realmente esistito) Carroll Shelby, al quale negli anni Sessanta fu affidato il più che arduo compito di rendere le auto da corsa Ford in grado di competere nientemeno che con la Ferrari per aggiudicarsi la vittoria alla famigerata 24 ore di Le Mans.

Shelby, interpretato con grinta da Matt Damon, si affida quindi al fidato pilota Ken Miles (Christian Bale), un tipo tutto ossessione e scontrosità che però alla guida non è secondo a nessuno, e insieme devono scontrarsi contro l’establishment Ford che si rivela un ostacolo ancora più temibile della rossa di Maranello.

Un po’ come per Rush di Ron Howard (2013), il fatto che la storia narrata sia vera non fa che aumentarne il gusto, e per il pubblico italiano c’è anche il piacere di vedere sullo schermo (rappresentate in fondo senza particolare cattiveria) figure nostrane come Enzo Ferrari (Remo Girone). Purtroppo il film si prende un po’ troppo tempo per arrivare alla fatidica gara, e se qualche saggio montatore avesse deciso di tagliarne una buona mezz’ora per lasciare fuori un po’ troppe conversazioni a bordo pista, il risultato sarebbe un classico del cinema sportivo.

Top secret!

Jim Abrahams, David Zucker, Jerry Zucker, 1984

Sia lode in eterno al trio Zucker-Abrahams-Zucker, che hanno praticamente inventato un intero filone della comicità moderna grazie a classici del demenziale quali L’aereo più pazzo del mondo, Una pallottola spuntata e Hot Shots! (nonché i relativi seguiti di ognuno).

Non essendo la loro filmografia particolarmente lunga, a differenza per esempio di un Mel Brooks, mi sono quindi avvicinato con curiosità a questo loro film meno noto, ma avrei forse dovuto immaginare che la sua poca notorietà fosse legata al suo essere decisamente meno riuscito degli altri titoli.

La storia è quella di un cantante di rock’n’roll statunitense (un Val Kilmer all’esordio), che in un periodo imprecisato della Guerra fredda viene spedito in Germania Est (che però ricorda da vicinissimo il regime nazista) per tenere un concerto organizzato dalle autorità locali. Una serie di peripezie lo porteranno a unirsi alla Resistenza (che chissà perché è francese) e a partecipare a giochi di spionaggio di cui dopo dieci minuti si è perso il filo.

Il tutto è veramente sconclusionato, tra rimandi che vagano tra Casablanca e Laguna blu, e se le invenzioni comiche tipiche degli autori non mancano, poche strappano una vera risata, con l’eccezione di una sequenza con protagonista una mucca finta che fa il paio con il gorilla di Una poltrona per due.

Come sempre, ogni stroncatura di capolavori immortali o apprezzamento di schifezze immonde è pubblicata in piena facoltà di intendere e di volere e non è sottoponibile ad azione penale da parte di cinefili offesi nell’animo.

Alla prossima puntata! (qui l’archivio con tutti gli altri volumi, e qui tutti i film in ordine alfabetico)

5 risposte a "Mi consigli un film? – Vol. 21"

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  1. Magari Midsommar avesse deluso un po’ tutti, ho letto quasi solo commenti entusiastici e non ne capirò mai il motivo… Billy il Bugiardo mi ha già conquistato, voglio vederlo subito. Streghe non l’ho mai visto. Le Mans piaciuto anche a me, ma sono d’accordo sulla durata (gli preferisco comunque Rush). Di Top Secret non ricordo nulla se non una scena in cui Val Kilmer entra in una galleria scavata per fuggire e si ritrova in un perfetto tunnel autostradale: mi fece ridere assai.

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    1. Haha sì, confermo che la cosa del tunnel fa ridere, ma è tra le poche purtroppo. Oltretutto l’ho visto facendo avanti e indietro tra doppiaggio e sottotitoli, e mi sono reso conto che in Italia la scelta è stata quella di infilare volgarità a buffo che non c’erano e non tradurre le battute migliori, cosa che credo sia avvenuta pure per L’aereo più pazzo… Billy in effetti è molto Truffaut, quindi probabilmente ti piacerà! Anche per oggi regna la pace tra i criticoni 😀

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