Mi consigli un film? – Vol. 30

Consigli per tutti e anche qualche film decisamente sconsigliato, così da evitare rischi.

Se un film tra quelli recensiti vi incuriosisce, provate a dare un’occhiata all’app JustWatch per scoprire se per caso sia disponibile su Netflix, Prime Video, RaiPlay, Infinity o altre piattaforme di streaming (non mi pagano per la pubblicità!).

Di seguito le recensioni di: Alien, Italiano medio, La guerra dei Roses, Wonder Woman, F come falso – Verità e menzogna.

Via al volume 30! (qui l’archivio con tutti gli altri volumi, e qui tutti i film in ordine alfabetico)


Alien

Ridley Scott, 1979

La saga di Alien è riuscita in qualcosa di pressoché unico nell’ambito del cinema horror e fantascientifico: produrre una lunga serie di film dal 1979 agli anni Dieci mantenendo quasi sempre alto il rispetto degli spettatori e dei critici, rispetto che in altri casi (Halloween, Predator, Nightmare…) di solito si perde già al secondo film.

Il motivo sta probabilmente nel fatto che, almeno per i primi quattro film, ci si sia affidati a registi notevolissimi quali Ridley Scott, James Cameron (Aliens – Scontro finale, 1986), David Fincher (Alien³, 1992) e Jean-Pierre Jeunet (Alien – La clonazione, 1997), perdendo poi quota con Alien vs. Predator (Paul W. S. Anderson, 2004) e Aliens vs. Predator 2 (Greg e Colin Strause, 2007) prima di riprendere le redini con l’originale Ridley Scott in Prometheus (2012) e Alien: Covenant (2017).

Il primo film è ancora il migliore, ma con la premessa che non si assisterà a grandi sparatorie e corse frenetiche: riguardandolo, l’Alien originale colpisce per la sua precisione fredda e asettica, e per il suo prendersi tutto il suo tempo, scelte che mostrano tutta la sua discendenza dalla glaciale eleganza kubrickiana di 2001: Odissea nello spazio (1968).

In un futuro non troppo diverso dal nostro presente, la nave cargo Nostromo viaggia nello spazio e capta un segnale sconosciuto: ingenuamente plana sul pianeta da cui proviene, ma l’equipaggio dovrà fare i conti con un essere alieno feroce e pressoché invincibile (realizzato dal mago degli animatronics Rambaldi). La fredda e razionale Ripley (Sigourney Weaver nel ruolo che ne segnerà la carriera) assisterà a un gioco al massacro e dovrà contare su se stessa per la sua sopravvivenza, anche perché, come ricordava l’iconico slogan, “Nello spazio, nessuno può sentirti urlare”.

Lente panoramiche su corridoi di un’astronave inospitale, suspence insostenibile, un mostro che (come aveva insegnato Lo squalo) meno si vede e meglio è (e qui si vede pochissimo), un colpo di scena splatter che ha disgustato intere generazioni, la femminilità non stereotipata di un’eroina che farà scuola, l’astronave come trappola senza scampo: Alien fa ancora paura, e con grande classe.

Italiano medio

Maccio Capatonda, 2015

Maccio Capatonda (al secolo Marcello Macchia, 1978) è uno tra i nomi più noti per un’intera generazione di pubblico nostrano: i suoi esordi comici nei programmi della Gialappa’s a metà anni Duemila hanno infatti avuto la fortuna di sfruttare sia il successo di audience televisiva che l’avvento del neonato YouTube per passare di mano in mano tra milioni di liceali.

L’umorismo surreale, di stampo Frassica, ha trovato la forma perfetta nei suoi ormai mitici finti trailer cinematografici, che grazie alla brevità sono stati un perfetto contenuto virale e hanno fatto entrare nel linguaggio comune giovanile parole come “febbra”, “sossoldi” e personaggi immaginari quali Anna Pannocchia e Herbert Ballerina.

Nel 2015 Capatonda decide di fare il grande salto al cinema, e lo fa dilatando a dismisura un suo corto di appena due minuti, il finto trailer di Italiano medio, che in un gioco di specchi diventa così un vero film.

La trama è già tutta lì: una parodia di Limitless (Neil Burger, 2011) in cui il protagonista, inizialmente serio e socialmente impegnato, fa uso di una pillola che, anziché potenziarne le capacità cerebrali, le porta vicine allo zero, rendendolo un coacervo di difetti italici, dalla volgarità al menefreghismo. Se però nel finto trailer la storia si concludeva così, il film ne racconta il seguito, illustrandone gli effetti e il difficile equilibrio tra il Dr. Jekyll ecologista e responsabile contro il Mr. Hyde discotecaro e fan dei reality.

Il tutto si dispiega principalmente come una satira degli effetti lobotomizzanti della televisione sull’Italia contemporanea, e c’è una consapevole ironia dell’autore nell’accusare lo stesso mezzo che gli ha dato la fama. La comicità però è di grana grossa, la trama annoia dopo poco, e spesso il problema è che Capatonda non ha fino in fondo il physique du rôle del comico puro, accomunandosi a Checco Zalone nell’essere troppo ordinario (e a volte anche sgradevole) per farci credere davvero nei suoi personaggi. Se però il genere di comicità è molto simile, perché Zalone batte ogni record e Capatonda rimane principalmente un personaggio televisivo? Misteri del gusto italico.

PS: La serie di Sky Dov’è Mario? di Corrado Guzzanti, del 2016, riprendeva larga parte delle premesse, ma l’attenzione dei critici, che hanno sempre avuto Guzzanti come beniamino, è stata largamente maggiore.

La guerra dei Roses (The War of the Roses)

Danny DeVito, 1989

I film che raccontano la nascita di un amore e si concludono con un bel matrimonio festoso sono innumerevoli, ma quanti film iniziano con quel matrimonio e arrivano fino al divorzio, senza risparmiarci nessun dettaglio sgradevole nel mezzo? Per il suo esordio alla regia, Danny DeVito ha puntato sull’originalità del soggetto (tratto da un romanzo di Warren Adler del 1981), e soprattutto ha scelto di raccontare una storia apparentemente tristissima con un costante humor nero che non ha paura di scivolare nel grottesco.

Storia che è quella dei coniugi Rose, lui avvocato di successo, lei casalinga, due figli (tra cui Sean Astin, il futuro Sam Gamgee del Signore degli Anelli), che dopo anni di matrimonio generalmente felice cadono in una spirale di odio reciproco, avvocati divorzisti e guerra totale sul terreno della loro villa divisa in parti uguali, arrivando ad estremi di lotta da cartoon.

Il meglio lo fanno i due protagonisti, strepitosi: Michael Douglas e Kathleen Turner all’epoca erano pressoché una coppia fissa a livello cinematografico, avendo già girato insieme All’inseguimento della pietra verde (1984) e Il gioiello del Nilo (1985), e qui camminano perfettamente sul filo tra credibilità ed eccesso. DeVito insaporisce il piatto con la parte dell’avvocato/narratore, e come regista ci mette una scenografia sontuosa, una macchina da presa mobilissima, la simpatia di Marianne Sägebrecht (già protagonista di Bagdad Cafè) e colori pastello favolistici che ricordano (o anticipano) Tim Burton.

In fondo dispiace per i protagonisti litigiosi, visto che al di là del tono comico si tifa davvero perché i due riappianino le proprie divergenze anche dopo essersi sfidati senza esclusione di colpi.

Wonder Woman

Patty Jenkins, 2017

Strano esempio di film di supereroi in cui le battaglie a colpi di saette e botte da orbi sono una deludente distrazione rispetto a una trama originale e spiritosa che forse avrebbe meritato una storia a sé stante.

La protagonista è Diana (Gal Gadot), figlia della regina delle Amazzoni e residente sull’isola introvabile di Themyscira (ricostruita sulla Costiera Amalfitana), che ha la peculiare caratteristica di essere abitata da sole donne tendenzialmente impegnate ad allenarsi h24 nell’arte della guerra.

Un giorno, però, un avvenente militare inglese sbarca sull’isola, e la giovane principessa semidea decide di aiutarlo spingendosi oltre i confini dell’isola per seguirlo nella Londra della Prima guerra mondiale, dove insieme combatteranno contro i tedeschi ispirati da Ares, dio della guerra.

Il confronto tra la semidea in costume e la società londinese di inizio Novecento, oltre alla battaglia dei sessi da commedia sofisticata trai due protagonisti, sono la cosa migliore del film, con una Gal Gadot che si candida ad attrice più irresistibile dell’universo nella parte della svampita fuori posto in stile Un americano alla corte di re Artù.

Il resto sono cazzotti, cattivi da operetta e buoni sentimenti, con la piacevolissima eccezione della presenza di Ewen Bremner, lo Spud di Trainspotting, a dimostrazione che i film di supereroi hanno almeno il potere di dare nuova vita cinematografica a chi scelgono di riesumare. Un seguito del 2020 ambientato nel 1984.

F come falso – Verità e menzogna (Vérités et mensonges)

Orson Welles, 1973

Lo stesso Orson Welles, che l’ha diretto nel suo periodo “vagabondo”, in cui girava di Paese in Paese racimolando soldi per i suoi spesso incompiuti progetti, disse di questo film che non si trattava di un documentario, ma di “un nuovo genere di film”. In particolare, lo definì “un saggio, un saggio personale, che è l’opposto del documentario”.

Che si definisca film-saggio, mockumentary, o docudrama, si tratta sicuramente di un oggetto strano e pioneristico, che fin dal titolo si propone di esplorare un tema piuttosto scivoloso: il falso, i falsari, l’illusione, e quindi anche lo stesso mezzo cinematografico come creatore di falsi.

Welles è narratore e protagonista, enorme e avvolto da un mantello nero da mago con cui ha modo di sfoggiare tutto il suo carisma da illusionista gigione, e ci racconta la storia di un suo conoscente, Elmyr de Hory, noto per essere uno dei più grandi falsari di opere pittoriche al mondo. La cosa però si complica, perché il biografo di Elmyr, Clifford Irving, anche lui tra i protagonisti, è un falsario lui stesso, avendo inventato di sana pianta un’intervista esclusiva col magnate recluso Howard Hughes (poi interpretato da DiCaprio in The Aviator).

Non basta, perché lo stesso Welles ci mette del suo divertendosi a raccontarci, da narratore sopraffino, delle menzogne spacciandole per verità, e alla fine il piacere sta, come negli spettacoli di magia, nel farsi fregare e dire “bravo” a chi è riuscito nell’impresa.

Girato con uno stile rapidissimo che porta Godard alla massima potenza e anticipa MTV, è fondamentalmente un film di montaggio, in cui materiali eterogenei si mischiano, si ripetono e in fondo non raccontano chissà quale verità o storia, ma intrattengono piacevolmente per un’ora e mezzo con l’arte di un irresistibile imbroglione.

Come sempre, ogni stroncatura di capolavori immortali o apprezzamento di schifezze immonde è pubblicata in piena facoltà di intendere e di volere e non è sottoponibile ad azione penale da parte di cinefili offesi nell’animo.

Alla prossima puntata! (qui l’archivio con tutti gli altri volumi, e qui tutti i film in ordine alfabetico)

3 risposte a "Mi consigli un film? – Vol. 30"

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  1. Protesto ufficialmente perché hai citato Sean Austin come futuro Sam Gamgee e non come indimenticabile “capo” dei Goonies, ruolo che l’ha portato a recitare nel film di DeVito! 🙂

    “Alien” è stupendo, non lo vedo da quasi due decenni ma sono certo che sia invecchiato benissimo.

    Sono stato un fan esagerato del Maccio televisivo, a quello cinematografico mi sono avvicinato solo per vedere un film di cui non ricordo neanche il titolo, che ho interrotto dopo mezzora per manifesta “inguardabilità”.

    Non c’entra niente col film, ma ritengo Gal Gadot una delle donne più belle della storia dell’umanità.

    Piace a 1 persona

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